Nel mondo che non è il mio e allo stesso tempo lo è, vecchi e bambini si trascinano nella neve e sopravvivono con abiti dismessi, secchi di latte appena munto da pietosi contadini.
Nel mondo che è il mio, nella città mai più silenziosa, ho visto uccelli migratori disegnare il cielo e poi svanire dietro i grattacieli, ho visto le foglie diventare gialle in pochi giorni e prepararsi tutte insieme alla caduta.
Nel mondo che è il mio e non lo è, raffinati
intellettuali si accapigliano su segni, simboli e pronunce per far diventare la
lingua più inclusiva. Allo stesso tempo uomini anziani discutono del perché le
donne siano discriminate nel mondo del lavoro.
Nel mondo che è il mio un astuto imprenditore,
che ci ha già rinchiusi nel suo mondo di volti e amici, si prepara, forse, a
rendere le gabbie ancor più raffinate. Saremo tutti prigionieri in un
metauniverso dove i corpi saranno sempre più altrove, mentre le menti si
azzufferanno e insulteranno e la pubblica gogna sarà sempre più normale.
Nel mondo che è il mio le donne continuano a
sobbarcarsi lavoro per guadagnare e lavoro per la cura dei figli, della casa,
dei genitori. Le donne non fanno altro che lavorare e la definizione di
qualunque vita femminile passa attraverso definizioni decise da altri e volte a
controllarle. Il mondo del lavoro è ritagliato ancora a misura del maschio che
non ha altra preoccupazione che pensare a lavorare. Solo sparute minoranze di
uomini condividono il peso della vita quotidiana con le compagne e con le loro
madri e sorelle.
Potrei continuare per pagine, nel furore
sociologico e antropologico che mi prende ogni tanto, a elencare come sono i
mondi che sono e non sono il mio.
Viviamo tutti in una molteplicità di mondi,
di memorie e di immaginazioni, anche se per la maggior parte del tempo non ci
pensiamo. La grande differenza, rispetto al passato, sono le continue
sollecitazioni che arrivano dai social che si sono sommate nell’ultimo decennio
a quelle della televisione e dei giornali.
Forse siamo più informati, forse siamo in
grado di ragionare e scegliere con maggiore consapevolezza, ma la mole di
informazioni, opinioni e immagini ci sovrasta, ci schiaccia e ci allontana
dalla dimensione minuscola del mondo e delle persone di cui possiamo realmente
occuparci nella nostra vita quotidiana. Rendermi conto di questa dimensione non
ha rimpicciolito il mio mondo e le mie azioni. Anzi, lo ha allargato e mi fa
guardare e agire con maggiore compassione e gentilezza. Avere cura del mondo
comincia dai piccoli gesti della vita quotidiana, dall’aiuto concreto, da un
sorriso, da un saluto, da una telefonata a qualcuno con cui abbiamo litigato e
che avevamo deciso di non vedere mai più. Il mai più è uno degli orizzonti
della nostra vita, ma non l’unico possibile.
Sapere
che le anime e i giardini si assomigliano
Non so quando sia stato
l’ultimo saluto, com’eri
vestita l’ultima volta che
ti ho parlato. Ricordo molto
bene cosa hai detto e
cosa non hai fatto, è questa
frattura tra le parole e
i gesti a segnare il tempo
dell’amicizia, il prima e
il dopo. Ma le fratture si
possono ricomporre, bisogna
solo ricordarsi che le anime
e i giardini si assomigliano
proprio tanto e non è
facile averne cura.
Oggi giovedì 11 novembre del secondo anno senza Carnevale è stata una giornata di riflessioni sulle relazioni tra le persone, sui mondi molteplici in cui ciascuno di noi vive e sulle amicizie che, a volte, cadono in letargo come le marmotte e gli orsi e bisogna costruirgli una primavera intorno per stanarli e farli tornare alla vita, come ben sa questa ingegnosa Cronaca 613 che sta ancora lavorando in giardino.
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