sabato 13 novembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/615. Una Lettera mi è sempre parsa come l'immortalità, perché è la mente da sola, senza compagno corporeo


Passiamo molte ore al giorno a leggere e scrivere mail, sms e whatsapp – che hanno un destinatario noto – e poi a pubblicare foto, post su FB, commenti dove capita, twittare e ritwittare – messaggi rivolti a destinatari perlopiù sconosciuti. Perché noi umani abbiamo questo bisogno smodato di comunicare? Di metterci in mostra? Di condividere? Non credo ci sia una sola risposta, i motivi sono molteplici, certo c’è una dimensione ludica, una intellettuale, di sicuro anche una sentimentale. In quanto animali sociali vogliamo far parte di un gruppo, essere riconosciuti, apprezzati e anche amati. Mentre riflettevo oziosamente su questi temi e stavo cercando ispirazione per la Cronaca odierna, ho sfogliato un volume con una selezione delle lettere di Emily Dickinson e la lettera 330 del giugno 1869 inizia con la frase che ho scelto come titolo. Mi fa impazzire la visione dickinsoniana di considerare il corpo come un compagno e la mente da sola essere l’immortalità. Non so come accada, ma accade, che la poesia ci offra risposte a domande che ancora non abbiamo formulato. La scrittura di una lettera, quando ancora le si scriveva, era un esercizio di concentrazione ed eleganza, almeno per gli scrittori, che aveva l’intenzione di lanciare nell’eternità parole e pensieri. Lanciarsi oltre la soglia del tempo, oltre la nostra finitezza corporea, la nostra umana mortalità. Scrivere, in generale, risponde proprio a questo desiderio di vincere i confini della nostra mente, del tempo lineare – l’unico di cui facciamo esperienza – di superare anche la soglia che coincide con la resistenza del nostro compagno corporeo, così come lo chiama la Dickinson. I libri, ogni libro, sono in qualche modo anche lettere e messaggi che consegniamo al mare del tempo, sempre sperando che qualcuno raccolga il nostro messaggio. Ma ci pensate a quanto sia straordinario che la nostra mente possa entrare in contatto con pensieri e parole pensati secoli, se non millenni, prima della nostra venuta al mondo? La scrittura ci permette di viaggiare non solo nello spazio, ma anche nel tempo, di trascendere la nostra finitezza.

 

 

Le parole che danzano nel fuoco

 

Scrivo, non so quando mi

leggerai, non so cosa starai

pensando, scrivo e mi riempie

di gioia il farlo. La gioia e la

scrittura abitano negli stessi

territori della mia anima e

vorrei che tu sentissi questa

gioia, che tu vedessi le scintille

dell’anima che si espande e

cerca nello spazio intorno.

Scrivo e lancio nel vuoto queste

mie parole, cadranno a terra

con le foglie dell’autunno, con

la pioggia scivoleranno sui

vetri, con le nuvole partiranno

verso altre terre, altri sguardi.

Solo chi ha conosciuto l’ascesa

vertiginosa del pensiero, potrà

provare la vertigine della caduta,

sentire i piedi sulla terra, nella

terra le radici e amare anche

i giorni brevi che il tempo ha

strappato dalle sue dense trame

per farcene dono. Le parole

danzano nel fuoco, ma tornano

sempre nelle nostre mani, si

incarnano e diventano leggere,

semi nel vento, sogni non

ancora sognati, un battito d’ali

e poi, il silenzio.

 

 

Sotto una pioggia scrosciante finisco di scrivere questa Cronaca 615 di sabato 13 novembre del secondo anno senza Carnevale. Le lettere della Dickinson mi aspettano insieme a tutti i silenzi cui la sua poesia dà forma e respiro. 

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