Passiamo molte ore al giorno a leggere e scrivere mail, sms e whatsapp – che hanno un destinatario noto – e poi a pubblicare foto, post su FB, commenti dove capita, twittare e ritwittare – messaggi rivolti a destinatari perlopiù sconosciuti. Perché noi umani abbiamo questo bisogno smodato di comunicare? Di metterci in mostra? Di condividere? Non credo ci sia una sola risposta, i motivi sono molteplici, certo c’è una dimensione ludica, una intellettuale, di sicuro anche una sentimentale. In quanto animali sociali vogliamo far parte di un gruppo, essere riconosciuti, apprezzati e anche amati. Mentre riflettevo oziosamente su questi temi e stavo cercando ispirazione per la Cronaca odierna, ho sfogliato un volume con una selezione delle lettere di Emily Dickinson e la lettera 330 del giugno 1869 inizia con la frase che ho scelto come titolo. Mi fa impazzire la visione dickinsoniana di considerare il corpo come un compagno e la mente da sola essere l’immortalità. Non so come accada, ma accade, che la poesia ci offra risposte a domande che ancora non abbiamo formulato. La scrittura di una lettera, quando ancora le si scriveva, era un esercizio di concentrazione ed eleganza, almeno per gli scrittori, che aveva l’intenzione di lanciare nell’eternità parole e pensieri. Lanciarsi oltre la soglia del tempo, oltre la nostra finitezza corporea, la nostra umana mortalità. Scrivere, in generale, risponde proprio a questo desiderio di vincere i confini della nostra mente, del tempo lineare – l’unico di cui facciamo esperienza – di superare anche la soglia che coincide con la resistenza del nostro compagno corporeo, così come lo chiama la Dickinson. I libri, ogni libro, sono in qualche modo anche lettere e messaggi che consegniamo al mare del tempo, sempre sperando che qualcuno raccolga il nostro messaggio. Ma ci pensate a quanto sia straordinario che la nostra mente possa entrare in contatto con pensieri e parole pensati secoli, se non millenni, prima della nostra venuta al mondo? La scrittura ci permette di viaggiare non solo nello spazio, ma anche nel tempo, di trascendere la nostra finitezza.
Le
parole che danzano nel fuoco
Scrivo, non so quando mi
leggerai, non so cosa starai
pensando, scrivo e mi riempie
di gioia il farlo. La gioia e la
scrittura abitano negli stessi
territori della mia anima e
vorrei che tu sentissi questa
gioia, che tu vedessi le scintille
dell’anima che si espande e
cerca nello spazio intorno.
Scrivo e lancio nel vuoto queste
mie parole, cadranno a terra
con le foglie dell’autunno, con
la pioggia scivoleranno sui
vetri, con le nuvole partiranno
verso altre terre, altri sguardi.
Solo chi ha conosciuto l’ascesa
vertiginosa del pensiero, potrà
provare la vertigine della caduta,
sentire i piedi sulla terra, nella
terra le radici e amare anche
i giorni brevi che il tempo ha
strappato dalle sue dense trame
per farcene dono. Le parole
danzano nel fuoco, ma tornano
sempre nelle nostre mani, si
incarnano e diventano leggere,
semi nel vento, sogni non
ancora sognati, un battito d’ali
e poi, il silenzio.
Sotto una pioggia scrosciante finisco di scrivere questa Cronaca 615 di sabato 13 novembre del secondo anno senza Carnevale. Le lettere della Dickinson mi aspettano insieme a tutti i silenzi cui la sua poesia dà forma e respiro.
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