domenica 24 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/595. Sulle origini e la natura del fuoco in una domenica autunnale

 

Il primo fuoco è arrivato da una stella fredda e remota che varcò i nostri cieli e cadde su un albero morto e secco. No, il primo fuoco è figlio del fulmine, mentre gli dèì combattevano invisibili agli occhi umani, nel pieno di una tempesta mai vista, un fulmine andò oltre il confine dell’Olimpo, che neanche si chiamava così al tempo, e cadde su un altipiano dove vivevano piccoli gruppi di cacciatori nomadi. Enorme fu il terrore, ma quando si avvicinarono, videro che alcuni piccoli animali, simili alla lepre, erano rimasti intrappolati dalle fiamme, l’aroma era buono, il sapore anche. Poi uno dei cacciatori si avvicinò a un fuoco che ancora non si era estinto, si provava una sensazione piacevole a stargli accanto, perché il freddo della sera che scendeva si allontanava e tornava solo quando il fuoco diventava brace.

O forse fu padre sole a lanciare uno dei suoi raggi d’oro infuocato verso le miserabili creature che brulicavano ai bordi delle foreste, e dormivano tra rami e caverne e per vivere seguivano gli spostamenti degli animali di cui si nutrivano.

Il fuoco è calore, cibo cotto, illuminazione, passione, immaginazione, creatività, mania, vaticinio, nostalgia, casa, focolare, distruzione, incendio, bruciò Roma per mano di Nerone, bruciarono migliaia e migliaia di libri nei roghi nazisti, bruciarono streghe e maghi nei roghi dell’Inquisizione. Il fuoco abita il cielo tanto quanto la terra e i suoi anfratti più nascosti, il vento lo alimenta o lo spegne, così come possono fare sia l’acqua che la terra. Forse per questo il fuoco gareggia in velocità con l’aria per allontanarsi quando le cose si mettono male, forse.

So che il fuoco è un grande conforto quando accendo la stufa, qui nella Casa delle Parole, metto a bollire l’acqua per il tè, e le castagne a cuocere, solo per il piacere di respirarne il profumo abbrustolito. Quando accendo il camino, allora so che casa è proprio casa, che non ho più bisogno di camminare nel giardino, in riva al mare o in direzione dell’altipiano. Prendo un libro da iniziare, la tazza del tè e mi siedo nella poltrona preferita accanto al camino. Ora il mondo esterno so che smetterà di esistere e solo nel libro il vento soffierà attraverso le cime tempestose.

 

 

Il pensiero è un airone che cerca di ritrovarsi in volo

 

Apro le pagine a caso,

lo faccio sempre quando

inizio un libro nuovo, lo

faccio anche se il libro

già lo conosco, perché

so che saranno le vecchie

letture a guidare la mia

mano. Senti come urla

il vento tra gli alberi e

le cime, proprio in fondo

all’altipiano? Senti come

urla proprio nelle pagine

di questo libro? Mentre è

il crepitio del fuoco a dire

la stagione fredda che è

di nuovo padrona delle

nostre vite. Nella prima

ombra della sera mi è

sembrato di veder volare

un airone, ma non sono

certa che ne siano rimasti

ancora nei nidi vicini al lago.

Forse non era un airone,

ma solo un vecchio pensiero

che ha trovato la strada per

andare a cercare un cuore

nuovo dove posarsi e aspettare,

nel vento e nel cielo scuro

di questo domenica autunnale.

 

 

Ho camminato a lungo, come faccio sempre quando sono nella terra ai piedi delle Montagne della Nebbia. Ho camminato così tanto da non sentire più i piedi e le mani e il fuoco è un conforto che vivifica e riunisce il corpo all’anima e non ci sono molte altre scuse, solo l’autunno con i suoi fuochi e questa Cronaca 595, e la sua poesia, di questa domenica 24 ottobre del secondo anno senza Carnevale.

 

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