giovedì 21 ottobre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/592. Sotto la grande quercia rossa non c’è una tavola rotonda

 


Sta proprio nel mezzo, maestoso e regale, proprio come si addice al re dell’Olimpo. Mentre Lunedì, Martedì e Mercoledì stanno alla sua sinistra, già seduti nel passato, Venerdì, Sabato e Domenica si aprono verso destra, verso il tempo che verrà. Giovedì, Giovedì che racconto mi porgi ora che stai finendo? Alla mensa della scuola elementare di giovedì c’era il menù peggiore, con il rollé di pollo in gelatina. Di giovedì la settimana ha già il suo peso, mentre il venerdì, la promessa del sabato si appropinqua. Quanti giovedì abbiamo vissuto sinora? Quanti ne vivremo ancora? Perché diamo così tanta importanza ai giorni della settimana? Forse perché ognuno porta nel nome il nome degli dèi e dei pianeti. Lunedì è la Luna, Martedì il dio della guerra Marte, Mercoledì è Mercurio il messaggero, Giovedì è Giove il padre di tutti gli dèì, Venerdì è il giorno di Venere, la dea della bellezza e dell’amore, ma per i Cristiani è il giorno della penitenza e della morte di Cristo. A Sabato, ma solo per i latini e greci, appartiene l’ombroso dio Saturno, e agli Ebrei il riposo, mentre è di Domenica, giorno del Sole e del Signore, che la luce torna a risplendere. Così viviamo, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, tutta la storia che ci ha preceduto, rivivono gli dèi dimenticati e quelli abbandonati. Ma tutti noi siamo conformati e abitati da questa sequenza del tempo, dalle leggende che contiene e con le quali potremmo intrecciare storie su storie. A me il giovedì evoca il Carnevale, dove lo si definisce “grasso” e forse perché è il pianeta più grande, non è difficile immaginarlo tondo e imponente che si ingozza di leccornie. Ma in questi tempi disincantati, dove niente delle forze numinose del passato funziona ancora, in questi tempi dove si continua a lavorare a casa per la maggior parte del tempo, il quarto giorno ha perso il suo splendore perché non annuncia più la fine della settimana. A Giove si consacrava la quercia e allora posso spostarmi io pure dal puro mondo dell’astrazione, da quel monte Olimpo, dove gli dèi vivono solo nel ricordo, per andare a ripararmi sotto la chioma maestosa della quercia più grande che abita nella città silenziosa, in piazza XXIV Maggio. È così pesante questa chioma che è stata puntellata e so che non dovrei stare qui sotto, perché è pericoloso e di sicuro a breve spunteranno i vigili e mi faranno minimo una ramanzina, se non una multa. Ma intanto che sono qui, tutti i rumori della città sono svaniti e sento gli uccellini che cantano sopra la mia testa, le foglie che hanno appena iniziato a ingiallire, le ghiande cadute a terra e qualche piccola quercia che è già spuntata a cercare la luce. Ogni quartiere di Milano ha almeno un albero simbolo e mi piacerebbe raccontare una storia, raccontarne la storia e fingere che anche i palazzi siano alberi e tutta la città solo un immenso bosco.

 

 

Nella foresta che non è Brocéliande

 

Se anche gli alberi sono

solo un’immaginazione,

non è bello credere che

l’antica foresta sia ancora

tutta qui? Possiamo sostare,

evocare le fate e i folletti,

anche se questa non è

Brocéliande la mitica e

non c’è un signore che

torna verso il suo castello

dove una regina fedele dorme

ancora, dove una tavola rotonda

è solo un desco e non ci sono

cavalieri e armature splendenti,

ma solo questa città vuota che

ha dimenticato le sue leggende

e le storie d’amore.

 

 

Anche oggi, giovedì 21 ottobre del secondo anno senza Carnevale, il giorno è finito e questa Cronaca 592 ha lucidato la tavola rotonda e spera che qualche cavaliere, almeno quel cavaliere, torni a sedersi per raccontarle una storia.

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