Muoversi tra le parole come tra il gioco tra ombra e luce, collocarsi sulla soglia e poi non riuscire a decidere se è l’ombra che mi attrae di più o la luce. Nell’ombra posso riposare gli occhi, posso dimenticare i colori del mondo e aspettare che l’ombra vibri e dia senso alle parole. Se scelgo la luce so che non ci sarà riparo, che tutto risplenderà e nella luce saremo indifesi, non c’è rifugio nella luce, non ci sono ambiguità, non ci sono segreti.
Se
le parole fossero solide come le cose, se le parole fossero cose, potremmo
coglierne l’ombra sul selciato, ma le parole, sono fatte d’aria, le parole sono
intenzioni, sono solo inchiostro, ricordi, erbe amare e vento tra le foglie.
La strada per tornare
dalle rose
Ogni
parola ha tre specchi
davanti
a sé: uno per imparare
a
pronunciarsi, uno per aprire
lo
spazio alle parole contigue,
uno
per riflettere il silenzio.
Noi
non riusciamo a vedere
ogni
specchio con gli altri,
solo
uno specchio per ognuno
dei
nostri poveri sguardi
umani.
Solo uno alla volta,
solo
un pensiero, solo una
foglia,
solo un’occasione. E
sarà
subito autunno, e tutti
gli
specchi saranno appannati,
e
nessuna parola troverà più
la
strada per tornare dalle
rose
in fondo al giardino.
Non
è mai povera la vita se abbiamo parole per raccontarla, non è mai triste una
giornata dove la poesia fa capolino tra le prime nebbie e mentre le foglie
lasciano che il verde ritorni nel ricordo dell’estate, le bacche si tingono di
rosso, hanno rubato il colore alle rose.
Oggi
è martedì 5 ottobre del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 576,
rossa come le bacche, profuma di nebbia e continua a saltare nelle pozzanghere.
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