Ci sono parole che arrivano a noi dopo avere varcato gli oceani del tempo, parole in un alfabeto antico, incise su un’antica stele per qualcuno che non c’è più, ci sono le indicazioni musicali, ma noi non conosciamo la musica greca, manca l’ultima frase in basso, perché uno dei proprietari precedenti l’aveva tagliato per rendere stabile quell’antico pezzo di marmo. La stele è ora esposta al Museo Nazionale Danese e si possono reperire in rete molte foto e varianti delle traduzioni, oltre che la messa in musica e non ce ne sono due uguali. La traduzione che ci ha offerto oggi la filosofa Claudia Baracchi è talmente bella da essere una poesia:
Sono un’immagine, io, la pietra;
qui mi pone Seikilos, segno
duraturo di una memoria
immortale.
Finché vivi, risplendi.
Non affliggerti affatto.
Il vivere è per poco.
Il tempo esige la fine.
Mi ha commosso profondamente ascoltare queste parole,
trascriverle e poi rileggerle, soprattutto dopo un pomeriggio filosofico che ha
nutrito la mia anima. È stato magnifico ascoltare la nostra maestra che ci ha
guidato tra le rappresentazioni di Odisseo, Orfeo, il teatro, il senso della
trascendenza e il misticismo. Ci ha guidato nella Repubblica di Platone, dove
le anime degli eroi sono intente a scegliere la propria vita nuova. Tutti
questi racconti risuonano forti in me, hanno addirittura evocato Le parole, l’autobiografia di Jean-Paul
Sartre che avevo studiato decenni fa per l’esame finale di francese III all’Università.
In tutto questo turbinio di ricordi e di scoperte più di tutte risuonano in me
alcune delle frasi dell’epitaffio: “Sono un’immagine, io, la pietra” un verso
che vorrei avere scritto io come mi ha detto anche il mio amico poeta Danilo. L’ultima
frase “Il tempo esige la fine” perché il nostro essere nel tempo non può
prescindere dalla sua durata che per noi viventi ha un limite. Ma più di tutte
mi risuonano queste parole: “Finché vivi, risplendi” e in questa dimensione
possiamo risplendere nella luce che ci arriva dalla nostra unica stella, dal
sole che ci inonda e ci rallegra. Ecco, finisco su questo senso di allegria
portato dalla luce, luce che è anche una mia ossessione poetica.
Oggi è domenica 13 febbraio del terzo anno senza
Carnevale, ma pare che a Viareggio si stiano preparando a festeggiare il
Carnevale, la pandemia scema, pare, e la mia amica Paola mi ha chiesto come si
chiameranno le Cronache allora. Continueranno a essere le Cronache degli anni
senza Carnevale, perché questo virus ha segnato uno spartiacque nella nostra
storia e nel nostro immaginario, ha inciso la nostra memoria, ci ha fatto
scoprire e riscoprire paura e dolore, la nostra fragilità e la nostra
vulnerabilità. Ecco quindi anche oggi la Cronaca quotidiana, e questa è la 707,
già seduta alla scrivania perché si è messa in testa di leggere Platone mentre
io trascrivo gli appunti e li rileggo.
Nessun commento:
Posta un commento