Me ne sono rimasta quieta nella casa a lavorare e poi leggere e scrivere. Oggi sarà per sempre l’anniversario della morte di Sylvia Plath e Amelia Rosselli che ne è stata anche traduttrice. Così, come faccio ogni anno, apro a caso Lady Lazarus e altre poesie e leggo. E penso a quelle due voci uniche che si sono spente troppo presto, al mito che per ciascuna abbiamo costruito, forse perché sentiamo forte quel dolore, quel male di vivere che neanche la poesia ha mai placato in loro. Troppo sentire in quelle menti, troppe voci intorno, troppo freddo, troppa solitudine. Ma la poesia va a scavare nei cuori più indifesi per cercare a sua volta un riparo, a volte lo trova a volte no.
Canto per i poeti
insonni
Recitare ogni poesia come
fosse una preghiera, ad
alta voce, senza testimoni
e poi gettarla nel vento
perché possa iniziare il suo
cammino. Poi cercare l’ingresso,
l’unico ingresso cui poter
accedere e aspettare sulla
soglia che le sillabe aprano
la porta. L’attesa e la pazienza,
di questo son fatti i giorni in
cui la poesia scende fino qui
e si mostra e mi chiama. E io
vado fin dove le mie gambe
reggono questo cammino. Che
finisce di notte, quasi sempre
di notte, a volte già quando
l’alba mi chiama per nome.
Sì, è proprio vero che una buona poesia può cambiare l’esito
di una giornata faticosa, soprattutto se poi si aggiungono l’amicizia e il
calore della casa. Questa Cronaca 705 di venerdì 11 febbraio 2022, terzo anno
senza Carnevale, annuisce convinta e mi si siede accanto e ascolta quando leggo
ad alta voce, ascolta come se non avesse mai sentito la mia voce.
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