giovedì 25 febbraio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/354: per tutte le voci che abbiamo dimenticato, per tutte le voci che non abbiamo ascoltato



Le voci sono aria che vibra, ma non sempre. Ci sono giorni in cui, come oggi, le voci sono fatte di legno, o di vetro, o di luce. A volte sono anche fatte di neve o pioggia, le voci, a volte anche di mare o di miele.

Le voci che ho ascoltato oggi in giro per il mio quartiere nella città silenziosa, erano voci di vetro, voci stanche, voci in fuga dal chiuso delle stanze. Ha riaperto la gelateria di via Marghera e c’era un po’ di gente in coda, tra cui un ragazzo con un cacatua sulla spalla sinistra. Tutti i tavolini nei dehor erano pieni di gente che beveva spritz. Se non fosse stato per le mascherine di chi stava camminando poteva essere un tardo pomeriggio qualunque, dove dopo il lavoro la gente si fermava a chiacchierare e a bere, facendo programmi per la sera. Oggi per me è il primo anniversario da quando mi sono chiusa in casa a lavorare. Avevo letto uno studio prodotto da uno statistico dell’università di Pavia e avevo detto alla mia capessa che sarebbe stato imprudente continuare ad andare in giro. Lei mi aveva apostrofato, nervosissima: “Mi rifiuto di diffondere fake news! Tu se vuoi stare casa restaci, ma noi dobbiamo pianificare le presenze in ufficio, almeno due o tre giorni alla settimana ciascuno”. A nulla era valso farle notare che lo studio pronosticasse oltre settemila contagiati alla fine di quella settimana. E così fu, io ero chiusa in casa, sgomenta e incredula come tutti in quei giorni, giorni che stanno raddoppiando, più di un anno è passato e lo sgomento non è mai diminuito. Continuo a sperare, in fondo ai miei pensieri, che questo coronavirus scomparirà così com’è arrivato e come ha fatto nel 1919 la Spagnola. Sono tempi duri e bizzarri, molto meno duri dei decenni bui del Ventesimo secolo, ma ancora non riusciamo a immaginare come sarà non essere più confinati tra le mura domestiche. Così appena posso esco a raccogliere le voci di vetro dei miei concittadini e per ciascuna scrivo un’etichetta per il vaso trasparente in cui la riporrò.

 

Per questo respiro che ci accompagna nella vita

 

Una voce ha bisogno d’aria e

di un corpo che la formi e di

altri corpi che la ascoltino.

La voce vive nelle registrazioni,

ma non è mai la stessa cosa

ascoltare e ascoltarsi dopo

il momento esatto della prima

pronuncia. È difficile ricordare

le voci, anche quelle di chi

abbiamo amato. Forse perché

tutta la nostra memoria è

intenta a salvare le immagini

e per le nostre povere voci

di vetro e paura, non c’è

abbastanza spazio e mai

ce n’è stato. Il sole è

tramontato e la prima

stella scuote il cielo e

chiama, ma nessuno qui

sulla terra risponde. Abbiamo

perso l’aria nelle parole e

solo per salvare questo

respiro che ci accompagna

nella vita.

 

Salvare le voci, ma come farlo? Come restituire l’intonazione, l’inflessione e la pronuncia? Di quel che siamo e che siamo stati, la voce è l’elemento più misterioso. Niente dalla superficie del corpo lascia immaginare la forma che l’aria prenderà fuori dai nostri polmoni.

Quando arrivo a casa sento il solito cagnolino abbaiare, e la gente che si ferma sotto l’albero bellissimo a dire le ultime parole. Nella cassapanca ripongo queste voci di vetro che mi hanno ricordato il giro delle stagioni, l’inverno finisce, la primavera esplode, nascono i cuccioli, ricominciamo a sorridere. Sì, ricominciamo e parliamo, riempiamo di canti tutta l’aria intorno e ricordiamo alla memoria che ogni immagine ha avuto una voce, e che noi l’abbiamo udita.

Oggi è giovedì 25 febbraio del secondo anno senza Carnevale e questa Cronaca 354 nasce da un respiro e da una poesia costruita tutto attorno: Per questo respiro che ci accompagna nella vita è inedita e già sente la primavera che sta arrivando.

Nessun commento: