venerdì 5 febbraio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/334: dove ogni parola cerca la giusta collocazione e una rana felice gracida alle stelle

 



Siamo immersi nel mondo e nelle cose del mondo, nelle relazioni e negli slanci e fermarsi a cercare i confini tra il mondo esterno e la nostra casa, tra il mondo che percepiamo con i sensi e quello che abbiamo interiorizzato con la memoria e l’immagine è un esercizio, da filosofo e da poeta.

Io che filosofo non sono, amo le brevi incursioni in un campo del sapere che ho arato solo in un piccolo appezzamento occidentale.

Mi lascio andare alle mie interpretazioni poetiche mentre aro il campo che meglio conosco e lascio che siano i buoi a trascinare l’aratro e io tengo i piedi ben saldi tra le zolle e guardo il cielo che rispecchia l’aratura e so che i germogli arriveranno anche dal suo lato.

Gli stretti legami tra poesia e filosofia mi hanno sempre attratto e affascinato, a partire dal noto libro di Maria Zambrano. Però, ho anche sempre pensato che i filosofi attraversano il mare della poesia in barca, mentre i poeti lo fanno a nuoto. Diversa la prospettiva, diverso il metodo.

La filosofia si è costituita in disciplina e ha storia, pensatori, epoche e strumenti. Non che la poesia non abbia protagonisti, storia, epoche e strumenti. Ma la poesia non viene trasmessa e sperimentata nelle aule universitarie e nei cenacoli, almeno non in Italia, mentre la filosofia sì.

In questa epoca di passioni fredde e tristi, di tristezza conseguente alla pandemia, di fatica, di sgomento, credo che poesia e filosofia possano continuare a illuminare con le loro luci che arrivano dal passato, proprio come le stelle illuminano il cielo notturno. Per sprazzi e sguardi fugaci. Poi ci sono gli astronomi e gli astrofisici che scrutano il cielo con i loro potenti telescopi e cercano regole e ragioni laddove noi non vediamo che luce.

Anche i poeti hanno regole e ragioni che sono meno visibili di quelle della fisica e della storia della poesia stessa. Regole e ragioni sono venute meno durante tutto il Novecento, certe avanguardie, che non amo, hanno contribuito a una perdita di senso senza precedenti e a un confinamento della poesia ai margini del mondo.

Ma la poesia è pervasiva come la polvere: si infila in ogni dove, ne troviamo traccia anche dove non dovrebbe esserci e i poeti continuano a scriverne, come io stessa faccio quasi ogni giorno, perché il ritmo della poesia è qualcosa che appartiene al ritmo del respiro e dell’immaginazione. Inoltre, sono più che mai certa che per scrivere poesia, come per scrivere narrativa, si debba averne letta moltissima. L’orecchio e l’occhio poetico vanno educati come si fa per la musica e per la pittura.

Così me ne sto immersa nel mare della poesia e a volte emergo e salgo in barca con i filosofi e discuto, non solo tra me e me stessa, utilizzando gli strumenti che la mia arte mi ha concesso di forgiare con materiali sconosciuti.

Alchimia e poesia hanno molto in comune, credo. Scrivere poesia è un processo alchemico che si innesca anche solo con una piccola irruzione del mondo in noi. L’esito non è prevedibile, ma quando la poesia è buona e bella poesia, si stacca da chi l’ha scritta e vola via come fanno gli uccellini che lasciano il nido dopo che hanno imparato a volare. Il poeta, la poetessa sanno che una poesia che riconoscono e al contempo sentono distante, è una poesia riuscita.

Nella poesia continuo ad avere fiducia e a riporre la mia speranza perché i nostri cuori, le nostre emozioni continuino a essere permeabili al mondo e a desiderare.

 

La poesia ama il caffè e le sigarette

 

Ecco, ti vedo, mentre scrivi su

un taccuino intonso con gesti

rapidi e febbrili. La tazzina

del caffè non è ancora vuota,

la sigaretta accesa illumina

lo spazio ristretto che ti circonda.

Scrivi, poi ricopi, cancelli e

inizi da capo. Modifichi perché

la parola giusta reclama proprio

quella collocazione. Tu lo sai,

così cancelli, finisci il caffè e

accendi un’altra sigaretta.

 

Nel mio immaginario chi scrive ha sempre avuto un posto speciale. Un tavolino, una macchina da scrivere, taccuini intonsi o già fitti di annotazioni, un portacenere, molto caffè. Ecco la mia icona dello scrittore novecentesco. Poi ci sono le varianti di Proust steso nel suo letto che scrive febbrilmente, Jane Austen che scrive circondata dalla famiglia. Ci sono molti modi di essere poeta e scrittore, ci sono infiniti modi e ciascuno di noi ha il proprio. Ed è bello condividere questo essere donne e uomini di parola, innamorati della parola, della poesia, delle storie.

Tra le tante immagini una che mi diverte e mi piace, è quella della placida rana che regna sul suo placido stagno, seduta su una ninfea bianca e rosa, che gracida alla luna e alle stelle. Poi dorme, si sveglia e si tuffa e poi gracida al sole. È una rana felice, come sono felici i poeti che scrivono.

Questa è la Cronaca 334 di venerdì 5 febbraio del secondo anno senza Carnevale, la poesia è inedita ed è dedicata al mio amico poeta Danilo Bramati.

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