mercoledì 20 gennaio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/318: i racconti dell’acqua e del cielo, le gemme sui rami

 



Abbiamo visto le città vuote di esseri umani, è stato emozionante, ogni angolo aveva l’aspetto di una quinta teatrale, è stato bellissimo, ma chi ha voglia di vederlo di nuovo?

Dalla distanza di questo giardino mi vedo camminare nelle strade poco frequentate della città silenziosa. Gli stessi passi, giorno dopo giorno, per andare a prendere i mezzi pubblici, metro o tram, per arrivare al lavoro. Qualche anno fa, annoiata dalla routine quotidiana, uscivo di casa prima il mattino e allungavo la strada per andare a prendere la metro in una stazione più lontana da casa, senza sapere che l’anno successivo quel tragitto sarebbe diventato il nuovo percorso per raggiungere l’ufficio.

Già, l’ufficio, i palazzi dove ho trascorso buona parte della mia vita, l’ufficio non è mai stato solo un edificio. L’ufficio è fatto di relazioni e riti, l’ho scritto già qualche giorno fa, senza le relazioni e i riti quotidiani, diventa, giorno dopo giorno, sempre più difficile dare un senso ai doveri quotidiani.

Lo stesso è per le strade e le piazze delle nostre città. Chiusi i ristoranti e i bar, i negozi di beni non considerati primari, cosa resta? Non ci sono persone che tessono e intrecciano relazioni, viene meno il piacere di essere riconosciuti nel nostro ristorante preferito, viene meno il piacere della piccola vita di quartiere.

La piccola vita di quartiere, una fontanella che accompagna il rumore dei passi, il teatro altrettanto chiuso e silenzioso.

Al di là delle relazioni e dei pensieri umani, delle nostre fantasie e proiezioni, è via via più difficile resistere e dare senso alla vita.

Noi siamo le nostre relazioni, prima ancora che i nostri pensieri, memoria e azioni, immaginazioni e desideri.

Siamo collocati in uno spazio, in una geografia sentimentale del luogo dove viviamo e lavoriamo.

Una geografia fatta di cieli mutevoli, di pioggia e gelo, di azzurrate improvvise che squarciano le nuvole, di venti lontani che capovolgono le stagioni.

 

I racconti dell’acqua e del cielo

 

Ho ascoltato l’acqua per molte ore

oggi, sembrava che non dovesse

mai finire di raccontare. Mi ha parlato

della sorgente da cui arriva, delle nuvole

che ha solleticato, della pioggia che

è stata, una goccia tra molte, un solo

desiderio: arrivare sino in fondo alla

caduta e sentire la terra aprirsi per

lasciarla passare. Intorno si sono

fermati i pochi uccellini che resistono

d’inverno e hanno iniziato a raccontare

un’altra storia che è sempre quella,

sempre la stessa: bisogna avere

fede nelle ore del gelo, l’inverno

finirà, gli alberi lo sanno, le gemme

premono sui rami e la libertà

riscalda le nostre mani, sarà tempo

di andare, sarà tempo di ricominciare.

 

 

Oggi è mercoledì 20 gennaio del secondo anno senza Carnevale, giorno che vede l’uscita di scena di due personaggi dannosi. Uno ha detto che in qualche modo ritornerà, l’altro ci proverà di sicuro, non ha mai imparato dalle batoste sino ad oggi. Ma intanto posso gioire e godere di questa giornata dove il nuovo Presidente ha giurato e l’America per me è e sarà per sempre anche il Paese da cui sono arrivati decine di migliaia di giovani a salvare la vecchia Europa da se stessa e non sono ritornati a casa. Per questo l’inno americano mi commuove sempre e di tutto il resto parleremo un’altra volta. Intanto stasera continuerò a guardare su Netflix Fran Lebowitz che girovaga per New York e ad amare quella città che è tutte le città del mondo in un solo luogo. I racconti dell’acqua e del cielo, le gemme sui rami è la poesia inedita, scritta nel pomeriggio per questa Cronaca 318.

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