giovedì 7 gennaio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/305: ancora non parliamo la lingua dell’anno nuovo


 


Nelle lunghe passeggiate solitarie che mi portano a cercare il conforto dei ricordi da apporre a questo confuso presente, mi vengono sempre più spesso in mente alcuni personaggi, poetici, letterari e biblici che sono venuti meno a un patto, che hanno compiuto un gesto che gli era stato proibito e al prezzo che hanno dovuto pagare.

Si muovono nel Teatro del Mondo tre poeti: Orfeo, Rilke e Montale.

Orfeo piange e canta la sposa perduta Euridice, scende nell’Ade a cercarla e ottiene di poterla portare con sé alla luce purché non si volti mai a guardarla. Durante la risalita teme di stare tenendo per mano un’ombra e si volta, così, nel momento stesso in cui vede la propria sposa, la “Tanto Amata”, la perde per sempre, lei ridiventa un’ombra e torna nell’Ade. Orfeo, inconsolabile, continuerà a piangerla e cantarla, a cantare il loro amore e a scolpire le radici della poesia orfica e neo-orfica che tanto amo.

Rilke canta le figure dei due sposi e il loro amore immortale nei Sonetti a Orfeo, dove la poesia è canto dell’assenza che ne è condizione fondamentale.

Cantiamo ciò che abbiamo perduto o ciò che desideriamo, perché noi umani amiamo struggerci nel desiderio e nella nostalgia.

È poi Montale, che se ne va tra gli uomini che non si voltano, lui il poeta che si è voltato e ha visto il nulla alle sue spalle; perché il passato è abitato solo da ombre e non basta l’amore a sovvertire l’ordine del tempo.

 

Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
 

Poi come s’uno schermo, s’accamperanno di gitto
alberi case colli per l’inganno consueto.
Ma sarà troppo tardi; ed io me n’andrò zitto
tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.

 

L’ultimo “voltarsi indietro” di queste brevi riflessioni è quello di una donna, Ado la moglie di Lot raccontata nel versetto 26 del diciannovesimo capitolo della Genesi: “La moglie di Lot si volse a guardare indietro e diventò una statua di sale”. Voltarsi a rimpiangere il passato ci costringe in una forma immutabile, il sale è simbolo di conoscenza e condivisione, di ricchezza, ma anche di un tempo bloccato che ci governa.

 

Qualche anno fa ho scritto questa poesia dedicata a questo gesto così carico di simboli e valenze:

 

Voltarsi nell’aria di vetro

 

Non ho bisogno di voltarmi indietro

né di quella fresca aria di vetro

che scontorna le mie immaginazioni

per vedere l’albero che diventa

il nulla e la strada farsi

vuoto anziché sostegno ai miei

passi. Non ho bisogno di farlo

ancora perché già troppe volte

mi sono girata e adesso ho

imparato che solo la parola

tiene il mio passo e non ho

bisogno, non più, di guardare

dove va perché abito a ogni

ora il regno della mia immaginazione

e trasformo la foglia caduta

in un fiore appena sbocciato,

la pioggia lieve di questo autunno,

nel sole fendente di un’estate

che mai più sarà. Tengo gli

occhi chiusi e solo la tua voce

conosce la strada per varcare

il mio cancello.

 

 

Ora il regno della mia immaginazione vive nell’inverno più profondo di quest’anno appena iniziato e di cui, ancora, non conosciamo la lingua.

Per impararla dovremo continuare a interrogare le nuvole e il cielo, gli alberi spogli, le assenze e le nostalgie, pronti a voltarci per cercare ancora con lo sguardo ciò che abbiamo perduto e subito tornare a guardare avanti per non smarrire la strada.

Tra questi due movimenti oscillatori sta il poeta e scrive, prendendo per la coda la scia luminosa della poesia.

 

Questa è la Cronaca 305 dagli anni senza Carnevale e oggi è giovedì 7 gennaio. La poesia di
Eugenio Montale
è tratta dalla raccolta Ossi di seppia. La mia poesia Voltarsi nell’aria di vetro è tratta dalla raccolta Scrivere il vento, Atì editore 2016.

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