Oggi sto in silenzio e in compagnia del Diario di Etty
Hillesum. Così questa Cronaca 325 del 27 gennaio del secondo anno senza
Carnevale, è una tessitura di alcuni suoi frammenti e delle poesie che le ho
dedicato negli anni trascorsi.
Esperienza amorosa con una primavera
per Etty Hillesum
Dio è
la sorgente sepolta dalla
sabbia,
non sarà facile arrivare
nel
centro della polla e ammirare
l’acqua
che sgorga pura e incontaminata.
Possiamo
scavare solo a mani nude e
nudi
nella polvere, scalzi i piedi.
Se
non tieni la terra ben salda contro
l’intero
corpo, non potrai inginocchiarti
a
scavare. Allora l’ombra che siamo si
ridurrà
e darà sollievo alle mani ferite che
dividono
sasso da sasso, il sì dal no.
I
ciottoli che feriscono le ginocchia
saranno
il monito, il memento del
tempo
a dire che possiamo vivere
o
lasciarci vivere, dal tempo farci
molare
e frantumare, o resistere.
Quando
la sabbia sarà fresca e umida
nelle
mani il vento visiterà la terra e
asciugherà
il nostro sudore sotto
la
sabbia antica, sotto i frantumi dei
giorni
che siamo stati, ci saranno ancora
rocce
a difendere la sorgente. Allora
potremo
spostare ogni pietra a lato e
circondare
lo scavo da noi compiuto e farne
un
bacino dove l’acqua potrà sostare
prima
di dissetare una gola riarsa, incapace
di
parole e di farsi attrarre dal sole e seguirne
i
raggi fondersi nella nuvola pensierosa
e
ricadere nel mare, guizzante tocco
ai
pesci che mai conosceranno la vita
dell’aria.
E così poter amare la fresca
carezza
della mano di Dio che ci
soccorre,
dopo che noi lo avremo
aiutato.
E
tenere nell’incavo del ricordo
l’acqua,
la sabbia, la nuvola
l’impronta
di quelle ginocchia
e la
preghiera che non ascende
al
cielo, ma nella materia oscura
canta
una ripetizione e la nostra
nostalgia
contornata dall’ombra di
Dio.
L’albero rosso-sangue di Etty
Ricordi
il faggio rosso-sangue, quello
con
cui avevi adolescente un rapporto
speciale? Io pure lo ricordo, ti vedo
prendere
la bicicletta e andare per
mezz’ora
veloce sino ai suoi rami.
L’incanto
era la tua vista, le tue
parole
oggi anche la mia nostalgia.
So
come lo sapevi tu, che è possibile
avere,
un’esperienza amorosa con
una
primavera. Ricordi ancora?
Ora
un brano dal diario della Hillesum.
"Oggi
pomeriggio ho guardato alcune stampe giapponesi con Glassner*. Mi sono resa
conto che è così che voglio scrivere: con altrettanto spazio intorno a poche
parole. Troppe parole mi danno fastidio. Vorrei scrivere parole che siano
organicamente inserite in un gran silenzio, e non parole che esistono soltanto
per coprirlo e disperderlo: dovrebbero accentuarlo, piuttosto. Come in
quell'illustrazione con il ramo fiorito nell'angolo in basso: poche, tenere
pennellate - ma che resa dei minimi dettagli- e il grande spazio tutto intorno,
non un vuoto ma uno spazio che si potrebbe piuttosto definire ricco d'anima. Io
detesto gli accumuli di parole. In fondo, ce ne vogliono così poche per quelle
quattro cose che veramente contano nella vita. Se mai scriverò - e chissà poi
che cosa?-, mi piacerebbe dipingere poche parole su uno sfondo muto. E sarà più
difficile rappresentare e dare un'anima a quella quiete e a quel silenzio che
trovare le parole stesse, e la cosa più importante sarà stabilire il giusto
rapporto tra le parole e il silenzio - il silenzio in cui succedono più cose
che in tutte le parole affastellate insieme. E in ogni novella, o altro che
sia, lo sfondo muto dovrà avere un suo colore e un suo contenuto, come capita
appunto in quelle stampe giapponesi. Non sarà un silenzio vago e inafferrabile,
ma avrà i suoi contorni, i suoi angoli la sua forma: e dunque le parole dovranno
servire soltanto a dare al silenzio la sua forma e i suoi contorni, e ciascuna di
loro sarà come una piccola pietra miliare, o come un piccolo rilievo, lungo
strade piane e senza fine o ai margini di vaste pianure. E' buffo: potrei
riempire dei volumi su come vorrei scrivere, ma può darsi benissimo che a parte
le ricette non scriverò mai nulla. Però le stampe giapponesi mi hanno fatto
capire a che cosa io aspiri, e mi piacerebbe camminare una volta attraverso
paesaggi giapponesi, per capirlo ancor meglio. Del resto credo che un viaggio
in oriente lo farò, in futuro - per trovare in quei luoghi, vissute ogni
giorno, quelle cose in cui qui ci si sente soli, in dissonanza."
5 Giugno 1942 da Diario 1941-1943, Etty
Hillesum, Adelphi
*Evariste Edgar Glassner era un
musicista e organista tedesco. Avendo perso il proprio impiego come organista
di chiesa a Berlino, (era un mezzo ebreo, secondo la classificazione nazista)
era emigrato ad Amsterdam: qui conobbe Julius Spier, partecipando ai concerti
organizzati dagli ebrei dopo la loro esclusione dalle sale pubbliche
Di seguito la poesia che è scaturita dalla lettura di
questo brano.
Invocazione alla luce
per Etty Hillesum, da una sua
annotazione
Ti
accompagniamo nella tua
crescita,
silenzioso Glassner
e
dall’altro capo dei giorni
io
tendo l’orecchio alle
tue
note e bevo la luce di
quella
estate mai respirata:
cedi
all’oscuro impulso
e
rendi ebbra l’anima
di
questa invocazione
“fa
che torni primavera
dammi
ancora quelle
note
e la sua voce
che
le ha precedute”.
Le mie poesie sono
tratte da Figure del silenzio, Atì
Editore 2010
Ora Un frammento di Etty
tradotto da Lorenzo Gobbi, Il bene
quotidiano. Breviario dagli scritti. (1941-1942), Edizioni San Paolo 2014
Prima, quando stavo
seduta alla mia scrivania, mi sentivo sempre molto in ansia, come se stessi
perdendo qualcosa della vita. Così, non sapevo concentrarmi bene sui miei
studi. E quando ero nella "vita vera", tra la gente, avevo sempre
molto desiderio di tornare alla scrivania, e non ero per nulla felice tra la
gente. Questa separazione innaturale tra lo studio e la "vita vera",
ora è scomparsa. Adesso, alla scrivania ci "vivo" davvero. Lo studio
è diventato un'autentica "esperienza di vita" e ha smesso di essere
qualcosa che riguarda soltanto la testa. Alla scrivania sono immersa totalmente
nella vita, e nella "vita" porto la pace interiore e l'equilibrio che
ho acquisito dentro di me. Prima, ero obbligata a ritirarmi ogni volta dal
mondo perché le sue troppe impressioni mi confondevano e mi rendevano infelice.
Dovevo fuggire in una stanza silenziosa. Adesso, porto con me questa che
possiamo chiamare "stanza silenziosa", e posso rifugiarmi là in qualsiasi
momento, anche se mi trovo se un tram affollato o su un treno che si ferma con
tutto il suo peso. (...)
9 gennaio 1942
La poesia che segue è mia ed è tratta dalla raccolta Scrivere il vento, Atì editore 2017
Le cose che
facevano parte di me
a Etty Hillesum
Le cose che facevano parte di
me erano nel tuo lento accumulare:
api che ronzavano alla finestra,
il ramo di glicine addormentato
nel bicchiere, il libro d’ore di Rilke,
l’acero rosso che contava le stagioni,
il desiderio di poter dominare
tutte le parole e tutto mettere in
parole, suoni, immagini per
dare conto a quelli che verranno
della tua esperienza amorosa
con una primavera.
“Ma ci sono anche dei giorni in cui
egli invecchia, i minuti gli passavano
sopra come anni” scriveva il poeta
all’amico Ewald. E ora che gli anni
sono passati sui tuoi giorni scomparsi
nella sabbia, come l’ultima onda prima
del tramonto seppellisce il mare,
tu che capivi la certezza della fine e
hai scelto di restare per essere il balsamo
di molte ferite.
“I cieli si stendono dentro di me
come sopra di me” scrivevi, sapendo
che tu sola potevi essere misura a
te stessa: la ragazza che non voleva
inginocchiarsi, che aveva iniziato
a
costruirsi una casa pietra su pietra.
Incantata dal glicine odoroso, hai aperto
le mani e lasciato rotolare melodiosamente
il mondo fino alla mano di Dio e ti sei
immersa per cercare nel profondo i tesori
che vi giacciono senza possedere gli strumenti,
sapendo fabbricarli dal nulla delle parole.
Oggi io sono qui nel cuore luminoso
di un giorno invernale, a indovinare
il glicine che sarà fiorito nella tua
primavera
amorosa.
Ecco ho trascritto i
frammenti e le poesie, posso tornare a leggere il Diario e a guardare l’unica
rosa che tengo sulla scrivania e a pregare perché la prossima primavera sia un
tempo di libertà rifiorita.