martedì 17 marzo 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/9: canto notturno dell’Italia in attesa

Il nuovo giorno chiude le ali, ha già perduto l’alba e ora anche le ultime ore di luce stanno svanendo. È pronto all'oscurità questo giorno finito, è silenzioso perché silenziosi siamo noi umani, fermi in questa attesa al rallentatore, smarriti, timorosi, perché la notte arriva implacabile e nemica per molti di noi. Per questo voglio elencare immagini notturne di bellezza della vita di un tempo che porto in me. 
Le notti stellate in Calabria, immense, quando tornavo a casa con la nonna dopo essere state a casa di zio Giacomo che stava un po’ più su in collina. Tenevo stretta la mano della nonna e quando siamo arrivate e lei ha estratto la chiave, prima di aprire la porta si è fermata e mi ha detto “Guarda quante stelle!” e per la prima volta io le ho viste attraverso la guida del suo sguardo e delle sue parole. Le notti calabresi erano cullate dal canto dei grilli e popolate dai giganti che si muovevano sulle colline di fronte, luci oscillavano, si accendevano e si spegnevano, erano le loro lanterne, ma io ero certa che non sarebbero arrivati sino a noi.
Ancora in Calabria, le notti passate a chiacchierare con mia cugina Mariuccia, parlavamo in continuazione ed eravamo sempre insieme, come due gemelle siamesi. Andavamo persino in bagno insieme, con quella naturalezza che solo i bambini hanno. E non smettevamo un attimo di parlare. La notte in campagna era anche il momento delle prove di coraggio, bisognava fare il giro intorno alla casa della nonna, da soli. Tutti sapevamo che gli altri cugini ci avrebbero teso un agguato, ma andavamo lo stesso, per provare quel brivido inspiegabile e urlare in piena libertà. Una sera molto tardi, era notte ormai, avevo raccontato ai cuginetti la storia dell’uomo nero che passava a prendersi i bambini nelle notti di temporale. E un temporale scoppiò e qualcuno bussò alla porta e noi gridammo di spavento. Ma era solo zio Giacomo che era venuto a ripararsi dalla pioggia.
Il mare di notte, o la sera tardi, dà lo stesso brivido di libertà, soprattutto quando si scendeva a nuotare nella scia argentea della luna, in silenzio, lasciando che solo il mare parlasse con le sue onde. Poi si tornava a casa bagnati e pieni di sabbia, con il sale che non si seccava sulla pelle e sulle labbra come accadeva di giorno. 
Le notti in viaggio si stagliano nei ricordi ben separate le une dalle altre, una notte in campeggio in Alta Savoia abbiamo visto sorgere una luna perfetta e rossa, che ha compiuto un semi-arco nel cielo prima di sprofondare nel bosco. E sì il bosco nero di castagni a Soliva, di cui ho già scritto, quando scendevo in cucina a bere e guardavo fuori, la mia immagine riflessa nel vetro risplendeva come proiettata su una lastra di ardesia. La prima notte a Parigi abbiamo camminato sino allo sfinimento per il Quartiere Latino e poi da Rue de Seine, dall'Hotel La Louisiane giù fino alla Senna. E tutti gli scrittori, le scrittrici e i poeti che avevano camminato per quelle vie e guardato quelle luci, ci avevano accompagnato giù fino all'acqua. La prima notte in Israele avevamo il deserto del Negev intorno e profumi nell'aria che mi riportavano in Calabria. La prima Notte a New York non abbiamo quasi dormito perché il rumore tipico della città, insieme al suo odore di spazzatura, pane appena sfornato e aria salata, aveva esaltato i nostri sensi e non volevamo, né potevamo dormire.
C’è una prima notte per ogni viaggio compiuto, una prima notte per ogni nuova città visitata. Ci sono tutte le prime notti dei ritorni, avvolti ancora nell’aroma del viaggio appena concluso. 
Le notti lontani da casa hanno tutte un nome diverso, un’immagine particolare che le riporta in vita.
Le notti a casa, nei tempi che furono la nostra quotidiana normalità, si confondono una con l’altra, e come vorrei stasera trovare per ciascuna un’immagine e un ricordo. A dire il vero ho molte immagini e molti ricordi ma che, per il momento, voglio tenere nella sfera della mia vita segreta.
Queste notti di vita imprevista non sono dolci, non ci sono adulti a raccontare fiabe per consolarci, se l’uomo nero arriva porterà davvero via qualcuno.
Saremo insonni, spaventati, soli nella grande città silenziosa, cercheremo consolazione come meglio potremo, aspettando che il giorno nuovo annunci una speranza.
Come chiameremo questi giorni quando l’emergenza sarà finita? Mai nella storia dell’umanità sono rimaste così tante testimonianze dirette di quel che accade. Mai. Noi siamo testimoni di un tempo che non tornerà e di un tempo che finirà.
E non sappiamo ancora, non riusciamo a immaginare quel che sarà il tempo che dovremo inventare.
La notte è scesa mentre scrivevo. Ora leggerò le statistiche dell’epidemia, mi affaccerò alla finestra e darò la buonanotte al mio albero meraviglioso cui sono spuntate le prime foglie. 
La primavera ancora non sa che noi siamo in attesa di un giorno diverso, di un segnale nuovo.

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