Come tutti ho un sacco di tempo a disposizione per pensare
in questi giorni e, dopo avere finito la lettura dei giornali il mattino
prestissimo, cerco di evitare di passare troppo tempo su Facebook, anche se ci
trovo sempre un mucchio di cose intelligenti e interessanti e anche belle da
vedere e da ascoltare. Facebook ha un senso e una sua utilità in questo momento
storico, pazienza se continuano a tracciare le nostre navigazioni e a vendere
le nostre profilazioni al miglior offerente. In questo momento ci consente di
restare in contatto grazie alla condivisione di immagini, parole, volti e
paesaggi. Questo strumento iper sollecita due dei nostri sensi, vista e udito,
a discapito degli altri tre, gusto, tatto e olfatto, anche se gusto e olfatto
sono a loro volta sollecitati dal cibo e dalla cucina cui pare tutta Italia si
stia dedicando senza sosta.
Il mondo è tutto una nostra creazione, o meglio, è con la
nostra presenza che il mondo si fa mondo. Come scriveva la geniale antropologa
culturale Ida Magli, precocemente finita nel dimenticatoio della storia, anche
la natura è un fatto culturale, perché siamo noi umani che abbiamo dato i nomi
alle cose e le abbiamo studiate, inventate, esplorate in senso positivo, ma
anche manipolate, sprecate, distrutte in senso negativo. Nella dimensione del
reale che chiamiamo mondo e che percepiamo come esterno a noi, anche se lo
studioso Riccardo Manzotti dice che mondo, coscienza e io sono un tutt'uno, un
elemento fondamentale del nostro vissuto e delle nostre narrazioni sono le
relazioni con gli altri. Le migliaia di amicizie virtuali su Facebook sono una
distorsione delle possibilità che l’amicizia ci offre, ognuno di noi lo sa
molto bene. Il virtuale può darci una momentanea consolazione, sopperire agli
incontri in carne e ossa ma non sostituirli. Gli amori virtuali nascono in un
turbine di emozioni e finiscono senza lasciare strascichi nella maggior parte
dei casi perché il corpo era assente nel momento in cui è scattata la scintilla
dell’innamoramento. Per le amicizie è cosa diversa, perché nascono quasi sempre
sulle basi di uno o più interessi in comune. E nascono con la stessa passione
dell’amore. Montaigne lo scriveva del suo più caro amico Étienne de La Boétie, potete
leggere la citazione in fondo a questo scritto*, e che io potrei sottoscrivere
per alcune amiche e amici che ho avuto la fortuna di incontrare nel corso della
mia vita. Lo stato nascente, per dirla con Francesco Alberoni, è il medesimo,
ma laddove l’abitudine e la frequentazione non sempre ci consentono di passare
dall'i’innamoramento all’amore, anzi spesso ne sono i carnefici, l’amicizia è
sempre più forte. Anche se, forse, la fine di un’amicizia è qualcosa di più
doloroso della fine di un amore. Vi è mai capitato di perdere un’amica? A me
tante volte, nonostante i sentimenti fossero forti e intatti. La prima perdita
fu Laura Olivas, la mia compagna di banco in prima elementare, ci eravamo
conosciute al campo giochi il pomeriggio precedente il primo giorno di scuola. Quando
all’appello del mattino successivo il preside snocciolò i nostri due cognomi in
fila, Olivas – Petrassi, nell'appello della prima E, saltellammo dalla gioia. Ci
sedemmo insieme nell'ultima coppia di banchi del blocco centrale. Eravamo quarantadue
bambine il primo giorno, poi ci divisero nei doppi turni. Eravamo così contente
che non facevamo altro che chiacchierare. La maestra Maria Luisa Galbiati,
scrivo i nomi perché i nomi delle persone che abbiamo conosciuto e incontrato
sono importanti quanto preservarne la loro memoria, dopo qualche giorno ci
chiamò alla cattedra, ci impose di tagliare due pezzi di scotch di lunghezza
adeguata ed entrambe fummo costrette a incollarcelo sulla bocca, a tornare al
nostro posto e ad aspettare la fine della lezione per poterlo strappare via,
cosa che fu anche piuttosto dolorosa. Mi ricordo l’umiliazione e la vergogna,
di questi tempi la maestra sarebbe stata denunciata, ma così imparammo a
rispettare la regola del silenzio e dell’attenzione in classe durante le lezioni.
Quell’episodio saldò la nostra recentissima amicizia e la maestra, non che non
si fidasse del metodo educativo che aveva scelto per noi, fece spostare Laura
al primo banco con la scusa della sua altezza e per lo stesso motivo io rimasi in
fondo. I primi due anni delle elementari portano ancora il nome di Laura in me.
La nostra amicizia finì soltanto perché suo padre decise di tornare a vivere in
Sardegna e non ci siamo mai più viste ne sentite e lei quasi di sicuro non ha
mai sentito la mia mancanza quanto io la sua, perché qualche anno fa, quando
suo fratello Roberto aveva postato una foto della nostra classe sulla sua
pagina Facebook e che io avevo intercettato per i magici algoritmi che
conducono la nostra vita digitale, gli avevo scritto chiedendogli di portarle i
miei saluti e il mio entusiasmo nell’averla ritrovata, ma la risposta di Laura
fu tiepida e io decisi di non insistere preferendo preservare il ricordo di
quella bambina con le treccine da cui sfuggivano i riccioli e un mucchio di
lentiggini sul naso e sulle gote.
Dopo questa prima fine molto traumatica, molte e molte altre
relazioni sono finite, ma non voglio attardarmi a farne un elenco triste e
significativo solo per me. Le amicizie finiscono a causa delle passioni comuni
che vengono meno, a causa dell’invidia, a causa della noia. Sapete, quando
frequentando una persona non fa altro che raccontarvi sempre le stesse cose di
sé e anno dopo anno non fa altro che ripetere gli stessi sentieri battuti e gli
stessi copioni. Una forma chiusa che il tempo non fa altro che confermare. Molte
relazioni si sono chiuse nella mia vita per questo motivo e so che molte
persone che mi hanno lasciato scivolare nell'oblio lo hanno fatto perché mi
hanno vissuta in questo modo. Però questa è una regola che ha molte eccezioni. Ci
sono persone che frequentiamo proprio perché sappiamo che sono proprio quella forma
chiusa che noi ben conosciamo e che ci nutre lo spirito come accadeva il primo
giorno. Oltre a queste amicizie a forma chiusa e soddisfacente, ce ne sono
altre ancora, quelle ancora più importanti, che alla forma nota aggiungono quel
guizzo inaspettato che riesce a sorprenderci, è il lancio del sasso nel mare
della nostra vita, è quell'insieme di onde che si allarga a cerchi concentrici
verso il largo. Mi è sempre piaciuto immaginare la mia vita, come quella degli
altri, come a un insieme di cerchi concentrici, dove io me ne sto seduta sul
mio piccolo trono bardata per affrontare il mondo e i cerchi più vicini si
intersecano con quelli di familiari, amici intimi, amici, colleghi, vicini di
casa, negozianti, camerieri, intrecci di cerchi che confermano la teoria “dei
sei gradi di separazione”, ci ho provato tantissime volte e sono arrivata
persino alla Regina d’Inghilterra, a Barack Obama, a Sylvia Plath e Anne Sexton
in meno di cinque incontri. I cerchi del mondo reale sono attraversati e
sconquassati da quelli del mondo digitale e, soprattutto, da quanto ci sta
accadendo in questo periodo, il nostro io scende dal trono e intorno ha solo
pochi familiari, e non per tutti è una fortuna, o la propria immagine riflessa
in uno specchio. Niente sassi lanciati nell'acqua, niente piccole onde, niente
respiro che si allarga. Forse è per questo che in questo silenzio e nel mistero
che ciascuno di noi è, possiamo riflettere sui contrasti, sulle perdite di
amici e amori, sulle rotture e sul perdono. Perché è il perdono che ci consente
di tornare a casa, di sederci sul nostro trono, poltrona o seggiola che sia e
di credere alla grazia di una mattina di primavera, alla tenerezza delle gemme
sui rami, al silenzio di cui siamo custodi.
*“Del resto, quelli che chiamiamo abitualmente amici e
amicizie, sono soltanto dimestichezze e familiarità annodate per qualche
circostanza o vantaggio, per mezzo di cui le nostre anime si tengono insieme.
Nell'amicizia di cui parlo, esse si mescolano e si confondono l’una nell'altra
con un connubio così totale da cancellare e non ritrovar più la commessura che
le ha unite. Se mi si chiede di dire perché l’amavo, sento che questo non si
può esprimere che rispondendo: «Perché era lui; perché ero io».
C’è, al di là di tutto il mio discorso, e di tutto ciò che
posso dirne in particolare, non so qual forza inesplicabile e fatale,
mediatrice di questa unione.
Ci cercavamo prima di esserci visti e per quel che sentivamo
dire l’uno dell’altro, il che produceva sulla nostra sensibilità un effetto
maggiore di quel che produca secondo ragione quello che si sente dire, credo
per qualche volontà celeste: ci abbracciavamo attraverso i nostri nomi".
Michel de Montaigne
Saggi
Capitolo
I, libro XXVIII
traduzione di Fausta Garavini
note di André Tournon
testo francese a fronte a cura di André Tournon
Bompiani 2012
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