Avveniva tutto lì, nel cortile. Era uno spazio immenso fatto
di prati, boschetti selvaggi, una lunghissima strada che attraversava il
quartiere da est verso ovest ed era zona verde, nessuna auto. Le torri di dieci
piani e i palazzoni lunghi, che parevano torri sdraiate sul fianco e
addormentate, non avevano cortili in senso stretto, ma balconi e balconcini,
logge. I genitori ci chiedevano di restare in vista, ma nessuno obbediva, con
tutto quello spazio da occupare e colonizzare, era impossibile stare fermi. I
giochi negli angoli posteriori del palazzo erano le belle figlie di Madama Dorè, le favole interpretate, soprattutto
Biancaneve e la Bella Addormentata nel bosco, i fidanzatini che progettavano il
giorno in cui si sarebbero sposati. Sei anni non sono troppo pochi per
promettersi il futuro. Un, due, tre,
stella era un gioco da muro dove uno stava a braccia conserte e gli altri
dovevano arrivare senza farsi vedere in movimento. Anche quando giocavamo a
nascondino era bellissimo il brivido della conta, fino a 10 per ogni bambino,
così tutti avevano tempi lunghissimi per andare a nascondersi. Oltre al piacere
della caccia, c’era quello della corsa per toppare chi avevamo scoperto e,
meglio ancora, essere colei o colui che arrivava correndo a perdifiato e
gridando “Liberi tutti!” così che si dovesse ricominciare da capo.
Sui marciapiedi davanti casa giocavamo ad Arimo saltellando su e giù dai gradini,
le nostre voci infantili erano la colonna sonora delle mamme che stavano a casa
insieme alla radio, in particolare i programmi 3131condotto da Gianni Boncompagni e la Hit Parade di Lelio Luttazzi.
Saltavamo alla corda con due bambine che la facevano girare
e le altre che a turno entravano. O anche da sole, dritto, incrociato,
all’indietro.
Si giocava moltissimo a palla e a pallone. Per qualche tempo
sono stata il portiere della squadretta del nostro condominio, unica bambina
interessata al calcio e innamorata della Grande Inter di Mazzola, Jair, Suarez,
Facchetti e Corso. Lui e Mazzola li avrei poi incontrati diverse volte in zona
De Angeli perché frequentavano lo stesso bar di Via Ravizza con Gianni Rivera
e, se non ricordo male, proprio Corso era il proprietario di una boutique nel
quartiere.
Giocavamo a palla
avvelenata, palla prigioniera e palla fuoco la mia preferita in
assoluto. Anche in questi giochi si poteva provare l’estasi della velocità,
l’abilità nello scansare i lanci degli avversari. Mi piaceva di meno giocare a
pallavolo, tanto che, alle superiori, avevo imparato ad arbitrare pur di non
essere costretta a giocare.
Le corse erano la nostra specialità, scattisti e mezzo
fondisti in erba ci sfidavamo quasi ogni giorno nella lunga strada. E correvamo
quando si trattava di andare a comprare il pane o il latte. Di corsa ci si
poteva scatenare anche con gli schettini ai piedi, quelli con le ruote pesanti
e rumorosissime. Poi, un po’ più abili, passavamo di diritto ai pattini e
addirittura Anna Martinoli, una delle mie compagne di classe delle elementari,
faceva pattinaggio su ghiaccio e andava ad allenarsi diversi pomeriggi alla
settimana.
Femmine e maschi frequentavano mondi dei giochi
completamente separati. Neanche giochi, come Il mondo, dove tracciavamo con un mattone rosso le caselle numerate
e saltellavamo da una all'altra lanciando il nostro sasso, a volte il mattone
stesso che avevamo usato, ci vedevano giocare insieme. A parte il mio fidanzato
Marco figlio della portinaia, la signora Mariuccia, gli unici altri maschi con
cui giocavo erano Angelo e Daniele. Prima andavamo a raccogliere bacche,
foglie, fili d’erba, sassolini, e poi con vecchie scatole da scarpe allestivamo
le bancarelle del mercato.
Ogni gioco aveva il suo luogo d’elezione e i gruppi stabili
di giocatori. Dalla finestra di una delle torri si sentiva spessissimo una
donna gridare per chiamare i suoi figli con voce tonante “Raaaul, Mirkooo, dove
siete? Venite a casa!”. A volte giocavano con noi anche Maurizio Rosolen e
Marco Carcassola che erano, mi pare, molto studiosi e li si vedeva poco in giro.
Io, Elena con mio fratello Alessandro, Cristina con i fratelli Massimo e Luigi,
Sabrine unica figlia del dottor Maccarini, Giuliana e suo fratello Gianandrea,
Emanuela figlia unica, Federica detta Chicca e sua sorella Monica. Grazia,
Angelo, Aldo, Giorgio che erano tutti grandi e lavoravano e Dalida detta Dada.
Un’altra Grazia e un altro Stefano, Paolo detto Pappo che era amico di mio
fratello e con lui passava i pomeriggi a nascondersi tra cespugli e balconi
mentre io mi disperavo a cercarli. Anna, Giorgio, detto Pastina, e Cristina
altra coetanea di mio fratello. Silvia e Massimo figli della Rina la signora
più simpatica del palazzo. Donato, altro amico di mio fratello, e sua sorella
Silvia. Giovanna e Gisella; Cinzia del quinto piano e Roberto del nono,
entrambi figli unici, come Mauro che non dava confidenza a nessuno. Paolo,
Elvira e Ivan, anche lui amico di Alessandro. Angelo, Rita, Roberto ed Enzo un
fratello morto giovanissimo. Patrizia e Simona del quinto piano, Mina e Maddalena al secondo piano e il loro cugino Lino e suo fratello Ciro al terzo. E poi Maria e le sue due sorelle al quarto e la
famiglia più silenziosa di tutte. I Saluto che i quattro figli andavano già
tutti a lavorare, e Marco del sesto piano con suo fratello, anche lui grande
amico di Alessandro e mio grande ammiratore. Nati dalla seconda metà degli anni
Cinquanta alla fine degli anni Sessanta eravamo un piccolo universo che si
risolveva tutto in quelle poche strade per i bambini e il luogo dove tornare
dopo la scuola e il lavoro per gli adolescenti e i genitori.
Questi giorni di clausura fanno affiorare in me volti e
storie che non sapevo di ricordare. Soprattutto la bellezza del nostro cortile
che d’estate diventava un campo giochi che si stendeva sino ai campi di mais di
Muggiano, dove vedevamo passare due volte all'anno le pecore in transumanza,
dove andavamo di nascosto a fare il bagno al fossetto e a rubacchiare le
pannocchie che facevamo arrostire su piccoli fuochi improvvisati. Non furono
anni facili, scoppiò il Sessantotto, le lotte operaie, il movimento femminista,
gli attentati, lo choc petrolifero, le domeniche a piedi, le scorte di zucchero,
caffè, olio e pasta. Le brigate rosse, l’eversione nera, i rapimenti di uomini
facoltosi, l’assassinio di servitori dello Stato, di giornalisti, di persone
innocenti. Gli anni di piombo, la città che si addormentava presto la sera. I pochi
locali aperti fino alle 22, poi il nulla.
Ma voglio ricordare soprattutto quelle gloriose giornate e
sere estive, dove sciamavamo in gruppo a giocare, a correre, a imparare la vita
gli uni dagli altri. Gli adulti poco avevano a che fare con noi. Gestivano obblighi
e divieti, ma noi avevamo le nostre amiche e i nostri amici, il nostro immenso
cortile.
Un’estate in particolare fu la più bella di tutte, quella
del 1975. Uno dei ragazzi più grandi, Mauro, aveva cominciato ad andare in giro
con la chitarra sempre in mano. Era bellissimo, con gli occhi scuri e i capelli
biondi e lunghi fino alle spalle. Incantava tutti e soprattutto le ragazzine. Ci
ricamai sopra una storia d’amore totalmente inventata e platonica e lui e suo
fratello Marzio erano i protagonisti delle storie romantiche che inventavo con
la mia amica Antonia.
Ricordo una partita selvaggia a palla fuoco, Antonia che
viene a fare un giro dalle mie parti, lui che arriva suonando, con un tramonto
rosso fuoco dietro le spalle.
Non racconterò questa sera cosa ne è stato di noi. Scrivo perché
penso ai cortili di questa città di pochi bambini, che come tutti i bambini del
mondo ora sono chiusi tra le mura di casa in mezzo ad adulti impreparati a
vivere quel che sta accadendo.
Vorrei che il mio immenso cortile d’infanzia, un pezzo di
mondo che non esiste più, si aprisse per tutti i bambini di questo tempo d’attesa,
e li facesse correre a perdifiato, senza adulti intorno.
Vorrei che anche loro avessero un cortile felice da
ricordare, un tempo felice da ricordare, quando il mondo e il suo nome
battevano all'unisono.
Ma tutto quello che possiamo fare ora è costruire cortili
all'interno delle case e lasciare che i bambini giochino con fogli e matite,
fogli, matite e l’immaginazione.
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