sabato 28 marzo 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/20: poetica dei bambini nei cortili


Avveniva tutto lì, nel cortile. Era uno spazio immenso fatto di prati, boschetti selvaggi, una lunghissima strada che attraversava il quartiere da est verso ovest ed era zona verde, nessuna auto. Le torri di dieci piani e i palazzoni lunghi, che parevano torri sdraiate sul fianco e addormentate, non avevano cortili in senso stretto, ma balconi e balconcini, logge. I genitori ci chiedevano di restare in vista, ma nessuno obbediva, con tutto quello spazio da occupare e colonizzare, era impossibile stare fermi. I giochi negli angoli posteriori del palazzo erano le belle figlie di Madama Dorè, le favole interpretate, soprattutto Biancaneve e la Bella Addormentata nel bosco, i fidanzatini che progettavano il giorno in cui si sarebbero sposati. Sei anni non sono troppo pochi per promettersi il futuro. Un, due, tre, stella era un gioco da muro dove uno stava a braccia conserte e gli altri dovevano arrivare senza farsi vedere in movimento. Anche quando giocavamo a nascondino era bellissimo il brivido della conta, fino a 10 per ogni bambino, così tutti avevano tempi lunghissimi per andare a nascondersi. Oltre al piacere della caccia, c’era quello della corsa per toppare chi avevamo scoperto e, meglio ancora, essere colei o colui che arrivava correndo a perdifiato e gridando “Liberi tutti!” così che si dovesse ricominciare da capo.

Sui marciapiedi davanti casa giocavamo ad Arimo saltellando su e giù dai gradini, le nostre voci infantili erano la colonna sonora delle mamme che stavano a casa insieme alla radio, in particolare i programmi 3131condotto da Gianni Boncompagni e la Hit Parade di Lelio Luttazzi.

Saltavamo alla corda con due bambine che la facevano girare e le altre che a turno entravano. O anche da sole, dritto, incrociato, all’indietro.

Si giocava moltissimo a palla e a pallone. Per qualche tempo sono stata il portiere della squadretta del nostro condominio, unica bambina interessata al calcio e innamorata della Grande Inter di Mazzola, Jair, Suarez, Facchetti e Corso. Lui e Mazzola li avrei poi incontrati diverse volte in zona De Angeli perché frequentavano lo stesso bar di Via Ravizza con Gianni Rivera e, se non ricordo male, proprio Corso era il proprietario di una boutique nel quartiere.

Giocavamo a palla avvelenata, palla prigioniera e palla fuoco la mia preferita in assoluto. Anche in questi giochi si poteva provare l’estasi della velocità, l’abilità nello scansare i lanci degli avversari. Mi piaceva di meno giocare a pallavolo, tanto che, alle superiori, avevo imparato ad arbitrare pur di non essere costretta a giocare.

Le corse erano la nostra specialità, scattisti e mezzo fondisti in erba ci sfidavamo quasi ogni giorno nella lunga strada. E correvamo quando si trattava di andare a comprare il pane o il latte. Di corsa ci si poteva scatenare anche con gli schettini ai piedi, quelli con le ruote pesanti e rumorosissime. Poi, un po’ più abili, passavamo di diritto ai pattini e addirittura Anna Martinoli, una delle mie compagne di classe delle elementari, faceva pattinaggio su ghiaccio e andava ad allenarsi diversi pomeriggi alla settimana.

Femmine e maschi frequentavano mondi dei giochi completamente separati. Neanche giochi, come Il mondo, dove tracciavamo con un mattone rosso le caselle numerate e saltellavamo da una all'altra lanciando il nostro sasso, a volte il mattone stesso che avevamo usato, ci vedevano giocare insieme. A parte il mio fidanzato Marco figlio della portinaia, la signora Mariuccia, gli unici altri maschi con cui giocavo erano Angelo e Daniele. Prima andavamo a raccogliere bacche, foglie, fili d’erba, sassolini, e poi con vecchie scatole da scarpe allestivamo le bancarelle del mercato.

Ogni gioco aveva il suo luogo d’elezione e i gruppi stabili di giocatori. Dalla finestra di una delle torri si sentiva spessissimo una donna gridare per chiamare i suoi figli con voce tonante “Raaaul, Mirkooo, dove siete? Venite a casa!”. A volte giocavano con noi anche Maurizio Rosolen e Marco Carcassola che erano, mi pare, molto studiosi e li si vedeva poco in giro. Io, Elena con mio fratello Alessandro, Cristina con i fratelli Massimo e Luigi, Sabrine unica figlia del dottor Maccarini, Giuliana e suo fratello Gianandrea, Emanuela figlia unica, Federica detta Chicca e sua sorella Monica. Grazia, Angelo, Aldo, Giorgio che erano tutti grandi e lavoravano e Dalida detta Dada. Un’altra Grazia e un altro Stefano, Paolo detto Pappo che era amico di mio fratello e con lui passava i pomeriggi a nascondersi tra cespugli e balconi mentre io mi disperavo a cercarli. Anna, Giorgio, detto Pastina, e Cristina altra coetanea di mio fratello. Silvia e Massimo figli della Rina la signora più simpatica del palazzo. Donato, altro amico di mio fratello, e sua sorella Silvia. Giovanna e Gisella; Cinzia del quinto piano e Roberto del nono, entrambi figli unici, come Mauro che non dava confidenza a nessuno. Paolo, Elvira e Ivan, anche lui amico di Alessandro. Angelo, Rita, Roberto ed Enzo un fratello morto giovanissimo. Patrizia e Simona del quinto piano, Mina e Maddalena al secondo piano e il loro cugino Lino e suo fratello Ciro al terzo. E poi Maria e le sue due sorelle al quarto e la famiglia più silenziosa di tutte. I Saluto che i quattro figli andavano già tutti a lavorare, e Marco del sesto piano con suo fratello, anche lui grande amico di Alessandro e mio grande ammiratore. Nati dalla seconda metà degli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta eravamo un piccolo universo che si risolveva tutto in quelle poche strade per i bambini e il luogo dove tornare dopo la scuola e il lavoro per gli adolescenti e i genitori.

Questi giorni di clausura fanno affiorare in me volti e storie che non sapevo di ricordare. Soprattutto la bellezza del nostro cortile che d’estate diventava un campo giochi che si stendeva sino ai campi di mais di Muggiano, dove vedevamo passare due volte all'anno le pecore in transumanza, dove andavamo di nascosto a fare il bagno al fossetto e a rubacchiare le pannocchie che facevamo arrostire su piccoli fuochi improvvisati. Non furono anni facili, scoppiò il Sessantotto, le lotte operaie, il movimento femminista, gli attentati, lo choc petrolifero, le domeniche a piedi, le scorte di zucchero, caffè, olio e pasta. Le brigate rosse, l’eversione nera, i rapimenti di uomini facoltosi, l’assassinio di servitori dello Stato, di giornalisti, di persone innocenti. Gli anni di piombo, la città che si addormentava presto la sera. I pochi locali aperti fino alle 22, poi il nulla.

Ma voglio ricordare soprattutto quelle gloriose giornate e sere estive, dove sciamavamo in gruppo a giocare, a correre, a imparare la vita gli uni dagli altri. Gli adulti poco avevano a che fare con noi. Gestivano obblighi e divieti, ma noi avevamo le nostre amiche e i nostri amici, il nostro immenso cortile.

Un’estate in particolare fu la più bella di tutte, quella del 1975. Uno dei ragazzi più grandi, Mauro, aveva cominciato ad andare in giro con la chitarra sempre in mano. Era bellissimo, con gli occhi scuri e i capelli biondi e lunghi fino alle spalle. Incantava tutti e soprattutto le ragazzine. Ci ricamai sopra una storia d’amore totalmente inventata e platonica e lui e suo fratello Marzio erano i protagonisti delle storie romantiche che inventavo con la mia amica Antonia.
Ricordo una partita selvaggia a palla fuoco, Antonia che viene a fare un giro dalle mie parti, lui che arriva suonando, con un tramonto rosso fuoco dietro le spalle.

Non racconterò questa sera cosa ne è stato di noi. Scrivo perché penso ai cortili di questa città di pochi bambini, che come tutti i bambini del mondo ora sono chiusi tra le mura di casa in mezzo ad adulti impreparati a vivere quel che sta accadendo.
Vorrei che il mio immenso cortile d’infanzia, un pezzo di mondo che non esiste più, si aprisse per tutti i bambini di questo tempo d’attesa, e li facesse correre a perdifiato, senza adulti intorno.

Vorrei che anche loro avessero un cortile felice da ricordare, un tempo felice da ricordare, quando il mondo e il suo nome battevano all'unisono.

Ma tutto quello che possiamo fare ora è costruire cortili all'interno delle case e lasciare che i bambini giochino con fogli e matite, fogli, matite e l’immaginazione.

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