Sono un coro, sono un gregge, sono una compagnia le
meravigliose nuvole.
Non so da quale remoto desiderio nasca la mia passione per
le nuvole.
Trascorro ore a guardarle, a fotografarle, a cercare animali
nelle loro mutevoli forme.
Le nuvole non mi deludono mai perché cambiano di continuo e
nessuna predizione al mondo potrà mai dire quale forma nascerà da una forma
precedente.
Nascono da correnti ascensionali, si scontrano, generano
lampi e tuoni, tornano alla terra in forma di pioggia, evaporano, si fanno
catturare una volta di più dai raggi solari.
Sono divinità le nuvole, accompagnano il carro del sole,
incoronano le cime delle montagne, adombrano le vaste pianure che attraversano.
Sono messaggere del cattivo tempo e della malinconia, quando si ritirano
concedono alla luce di imperare sul mondo, tanto sanno che ogni imperatore
cadrà dal suo trono.
Le nuvole e il cielo sono un’unica mente e un’unica anima. Non
possono esistere le une senza l’altro. Il cielo è geloso del vagabondare
nuvolesco e le nuvole invidiano la ferma rotondità della cupola celeste. Giocano
con i colori le nuvole e il cielo, si tingono dei medesimi rossi e arancio e
viola al tramonto e di un tenue azzurro velato all’alba che poi si trasmuta in
quelle dita rosate che ben conosciamo.
Sono pensieri affastellati le nuvole e in questi giorni di
clausura abitano anche nei miei occhi.
Le ho imprigionate perché mi tenessero dentro le immaginazioni
di essere come loro, di andare libera per le vie e i campi, senza incontrare
ostacoli o venti contrari.
Ho dentro di me le nuvole dell’altipiano norvegese di Hardangervidda,
il luogo dove le nuvole, tutte le nuvole nascono, ovunque volgi lo sguardo,
nuvole veloci si alternano a nuvole placide di colore mutevole e portate da un
vento diverso. Là, dove le nuvole nascono, nascono anche i venti e ogni nuvola
ne ama uno, uno alla volta almeno. Sono capricciose le nuvole e si stancano
presto del vento che le ha scelte, così con eleganti giravolte si allontanano
con il nuovo compagno, perché ovunque, dove ci sono le nuvole c’è anche il
vento.
In un’altra immaginazione stanno le nuvole normanne che
paiono pecorelle immobili in attesa del pastore. L’aria profumava già di sale e
la costa si avvicinava prima nei sensi che nell'andare dei passi. Le ho amate e
le ho portate con me sino a questo giorno di marzo che le sue nuvole le ha
inghiottite poco prima del tramonto. Anche oggi Emma e Gustave parlano al
riparo di un albero spezzato dal fulmine.
In un angolo ancora più remoto stanno le nuvole di Mount
Desert, l’isola dove visse Marguerite Yourcenar, lì ho passato un’intera
domenica sdraiata a guardare il cielo e il mare, poi il mare e il cielo e credo
di averla vista passeggiare appoggiata al suo bastone con un cagnolino accanto.
Ho negli occhi tutte le nuvole del Mont Ventoux, che mi
hanno accompagnato in una salita interrotta solo da una manciata di case rosa e
arancioni, dove un uomo suonava Chopin al pianoforte e una donna dipingeva
seduta all'ombra delle sue rose. Dopo avere guardato a lungo i suoi colori dare
forma all'aria, avevo ripreso il mio cammino e pensato che al ritorno le avrei
chiesto di comprare un quadro.
Ma qualche ora dopo, quando arrivai alla curva della strada,
non c’erano più le case ma un mucchio di rovine arancioni e rosa, solo uno dei
cespugli di rose stava ancora abbarbicato al muro della casa crollata. Furono le
nuvole, arrivate all'improvviso a sigillare con il vento che ululava, quella
donna e l’uomo che eternamente risuonano in me.
Dalla cima della Rocca della Peyrepertuse ombre eretiche e
guerriere davano l’assalto ai nemici convenuti, in una battaglia che ogni
giorno rinnovava la sconfitta, scale ardite salivano nel vento sino a finestre
aperte sull'abisso. Da un lato solo roccia, ma dall'altro la discesa diventava
dolce sino a una fonte dove nella pietra qualcuno esortava gli amanti a bere
quell'acqua per restare eternamente innamorati e solo uno di noi due ne bevve e
poi continuò il cammino.
Dagli spalti del Castello di Duino ho visto Rilke, il poeta,
strappare a nuvole e cielo i versi che andava componendo, strappare angeli,
viandanti e bambini alle storie usuali e farne figure incandescenti che volteggiavano
sul mare a strapiombo prima di infrangersi sulla pagina bianca.
Le nuvole infernali di Kore sono tinte dai frutti del
melograno e vorrei poterne mangiare per cadere in un oblio ristoratore. Laggiù la
fanciulla eterna ride con la mesta Euridice che Orfeo ha dovuto abbandonare per
avere in cambio l’assenza e la poesia.
Ma arrivano le nuvole della terra natale di mio padre e sono
impetuose e irruente, trascinano il vento sino alla grande quercia che trema in
un brivido lunghissimo. Le nuvole già sanno che quella sarà l’ultima estate
dove la incontreranno, dove le mie mani bambine andavano a incidere parole
nuove con la punta delle dita sulla corteccia, resterà un’ombra vasta come la
disperazione.
Per ogni storia umana ci sono nuvole testimoni, nuvole
messaggere, nuvole ricordo.
Sussurrano con la voce del vento i racconti di noi umani,
non sempre mantengono i segreti.
Un museo delle nuvole avrebbe bisogno di tanto spazio quanto
vasto è il cielo moltiplicato per ogni istante che le nuvole hanno vissuto.
Una nuvola raccoglie la propria ombra come se fosse un
frutto e la offre alla ragazza che fantastica sdraiata sul prato.
Una ragnatela immensa brilla di goccioline di rugiada all’alba
e l’immenso ragno dalla pancia azzurra che sta appeso sopra le nostre teste,
annuncia un giorno nuovo.
Un altro giorno in cui cercherò di decifrare ancora il
linguaggio delle nuvole che è il linguaggio di Dio.
1 commento:
Grazie. Elena dice addio a Faust e precipita inseguendo suo figlio. Resta indietro in velo chiaro e luminoso, ma no, forse già nuvola, che conduce Faust altrove. Nuvole, luce, vapore e ciclo della vita, dell'acqua, della morte e rinascita. Mobilità e divenire molteplice. Metamorfosi. Grazie Elena. Cambia, Todo cambia, canta Mercedes Sosa, antica saggezza delle nuvole.
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