I libri abitano con noi, nelle nostre case, nelle nostre
librerie e biblioteche personali.
Iniziano la loro vita mondana in una libreria i nostri libri
che ancora non sono tali. Milano, in un tempo non troppo lontano, pullulava di
librerie e bancarelle di libri usati che erano una gioia per gli occhi e per la
mente. Qui ne citerò poche, ma sono quelle che più ho frequentato negli anni,
molte non ci sono più e me ne dolgo ancora, ma dentro di me, eccome se ci sono.
La prima libreria di cui ho varcato la soglia è stata la Rizzoli in Galleria. Con il mio primo
modesto stipendio da impiegata-ragazzina ho comprato le poesie di Quasimodo,
Saba, Ungaretti e Montale. Avevo quindici anni e avevo scritto la mia prima
poesia sull’arrivo della primavera. Oltre ai poeti che leggevamo, malamente, a
scuola, avevo bisogno di confrontarmi con altri. In Rizzoli ho poi comprato
anche Baudelaire, Mallarmé, Rilke, Bramati, Anedda, De Angelis, nei decenni
successivi. Nelle estati delle scuole superiori lavoravo in una ditta che
faceva import/export di materiale per elettronica ed elettrotecnica che era
ubicata in Via Manzoni 31, dove ora c’è l’hotel Armani. Anche questa storia del
mio primo lavoro la lascio in sospeso per futuri racconti, ma in Via Manzoni c’era
anche la prima libreria Feltrinelli
della città. Ci andavo quasi tutti i giorni e c’era sempre qualcosa di nuovo da
scoprire. Lì ho conosciuto Roberto Cerati che si intratteneva spesso con il libraio
Casati, ho assistito a non so quante presentazioni ed era bellissimo. Per uno
strano caso del destino l’ultima volta che ho incontrato Cerati, è stato a
Parigi nella libreria Shakespeare and
Company, non molto tempo prima della sua scomparsa. In via Manzoni, in un
angoletto nascosto c’era la libreria Einaudi,
ma non ci andavo spesso. Sempre in Galleria c’era la storica libreria Garzanti, anche lì scorazzavo di
frequente e ci compravo soprattutto saggistica. Spostandomi dal centro, avevo
iniziato a frequentare la libreria Gorizia
Due in viale Gorizia. Giuliana e Clementina, libraie e ragazze del Sessantotto,
sono state tra le amiche più care della mia gioventù. Da loro ho comprato i
diari di Anais Nin, i romanzi di Marie Cardinal, a partire dal fondamentale Le parole per dirlo, i racconti di
Katherine Mansfield, i due volumetti con la copertina viola editi da Adelphi. Andavo
spesso anche alla libreria Sapere di
piazza Vetra, alla libreria della facoltà di Scienze Politiche Cuesp, alla libreria delle Donne in via Dogana, alla libreria Utopia di largo La Foppa, libreria che
avrà sempre un posto speciale nel mio cuore e con la quale ho collaborato nell’organizzare
presentazioni di libri e interi cicli di conferenze per venti anni circa dal
1987 al 2006. Sì, anche questa della libreria Utopia è una storia che apre una
divagazione nei miei ricordi e quindi la terrò buona per un futuro racconto.
Non posso tralasciare il libraccio, anche perché via Corsico
9 è la mia casa natale e dove ora c’è il Libraccio
“nuovo” c’era un forno con negozio e credo che i panettieri si chiamassero
Cesira e Giovanni, mentre nei locali di fronte c’era una salumeria gastronomia
di cui ricordo, soprattutto e chissà perché, le olive in salamoia.
Delle librerie statunitensi voglio ricordare la Pageant Book
and Printshop di New York e la libreria del campus di Harvard. A Parigi la già
citata Shakespeare and Company, la Hune e le Divan. A Londra la libreria di 84
Charing Cross Road, che quando ci sono andata non esisteva già più ma ci sono
meravigliose altre librerie antiquarie nei paraggi, e Foyles dove sono uscita
con libri a chili.
Delle bancarelle, cugine delle librerie, dove spigolavo, in
piazza Cavour, in piazza Cordusio, in Via de Amicis, in largo Cairoli, in
piazzale Cantore credo ne sia rimasta solo una. In piazzale Cantore, Angela
Pasqua e suo marito compravano e vendevano libri fondamentali e dove ho
comprato il cofanetto appartenuto a Cesare Musatti della traduzione della Recherche. Di bancarelle dove spigolare
me ne sono rimaste solo due, per me simboli di resistenza umana in piazzale
Baracca quella di Stefano Cesana e quella in piazzale Loreto. Le bancarelle
sono le dimore dei libri che sono già appartenuti a qualcuno, per questo mi
piace andarci a curiosare e l’ho fatto in tutte le città, i paesi dove sono
stata, anche se non ne parlavo la lingua come in Germania, ma soprattutto ricordo
i bouquinistes del lungo Senna parigino.
Dunque, le librerie sono le prime dimore dei libri che
vengono acquistati e poi sbarcano, come astronauti su Marte, nelle nostre
librerie. E qui viene il bello, perché ci sono tanti modi di sistemare una
libreria tanti quanti sono i lettori e i bibliofili. Da bambina saccheggiavo,
senza controllo alcuno, la biblioteca paterna e iniziavo ad accumulare i miei
libri. Quando sono andata a vivere da sola, per il trasloco dei libri mi
aiutarono mio fratello e i suoi amici, ci vollero un paio di giorni per
governare quella migrazione. A mio fratello ho destinato uno dei regali più
costosi, e utili, mai fatti in vita mia. Quando finì le superiori andammo nella
Feltrinelli di Via Manzoni e gli regalai, in varie visite, un milione di lire
in libri. Nella casa successiva alla prima casa da single, quella dove vivo
tutt’ora, a un certo punto della vita mi sono arresa all’ordine perché i libri
mi hanno dettato dove volevano stare. Così ci sono i ripiani dei libri più
amati, quelli tematici, poesia, antropologia, viaggi, psicologia, psicoanalisi,
femminismo - passioni antiche - fisica, neuroscienze e storia - passioni più
recenti, dove i libri letti e quelli da leggere sono ordinati per autore. Anche
i romanzi sono ordinati per autore e, se è il caso, per editore. E in questi
giorni, nel tardo pomeriggio, dopo il lavoro flessibile, ho iniziato a
riordinare e a raggruppare i libri dedicati alla scrittura e alla lettura e
anche all’uso terapeutico che se ne può fare. Altri ripiani molto popolati sono
quelli delle biografie, autobiografie, monografie, epistolari e diari di scrittrici,
scrittori e poeti. Grazie a questa dotazione ho potuto a scrivere le voci
biografiche di Anne Sexton, Sylvia Plath, Agota Kristof, Irène Némirovsky,
Grazia Livi, Marie Cardinal, Virginia Woolf e Katherine Mansfield per l’Enciclopedia
delle donne.
Alcuni libri passano poi dalle librerie alle biblioteche e
sono, forse, i più fortunati perché avranno molti più amanti e amici di quelli
reclusi nelle dimore private, da cui a volte arrivano donazioni verso le
biblioteche pubbliche.
Ecco, per oggi ho finito e per chiudere questa nuova Cronaca,
faccio una breve scorribanda in biblioteche più o meno note ma che hanno quel
qualcosa in più perché sono state nominate da grandi autori del recente
passato. Riporto qui alcune citazioni che ho già utilizzato nel blog, ma in
questi giorni ho bisogno dell’immaginazione e della sapienza degli scrittori e
scrittrici che amo.
La biblioteca infinita e celestiale di J. L. Borges era la sua idea di Paradiso.
Umberto Eco si è
fatto riprendere mentre cammina nella sua biblioteca labirinto di Milano.
Marguerite Yourcenar
scriveva in dei suoi due libri per me più belli Memorie di Adriano “Fondare biblioteche è come costruire ancora
granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da
molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto, e ricostruire
significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di "passato",
coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo
avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti”.
Alberto Manguel
nella sua Una storia della lettura racconta
una storia di tempi lontanissimi “Nel X secolo Abdul Kassem Ismael, gran visir
del regno di Persia, per non far confusione con la sua collezione di 117.000
volumi, quando se li portava in viaggio, li faceva caricare su una carovana di
quattrocento cammelli che dovevano marciare in ordine alfabetico”.
Amos Oz tocca un
vertice quando narra in Una storia d’amore
e di tenebra del suo desiderio di diventare un libro e non uno scrittore “Solo
di libri, da noi, c’era abbondanza da una parte all’altra, in corridoio e in
cucina e in ingresso e sui davanzali delle finestre e dappertutto. Migliaia di
volumi, in ogni angolo della casa. C’era come la sensazione che mentre gli
uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità.
Quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un
libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore
non è difficile ucciderlo. Mentre un libro quand’anche lo si distrugga con
metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita
di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche
sperduta biblioteca, a Reykjavik, Valladolid, Vancouver”.
Virginia Woolf racconta
di lettori e biblioteche in Voltando pagina.
Saggi 1904-1941 “Cominciamo col chiarire la vecchia confusione tra chi ama
apprendere e chi invece ama leggere, sottolineando che non esiste alcuna
relazione fra i due. Un uomo colto è un tipo sedentario, un entusiasta assorto
e solitario che cerca di scoprire attraverso i libri un granello di verità che
gli sia particolarmente a cuore. Quando lo prende la passione della lettura, il
sapere da lui conquistato vacilla e gli svanisce fra le dita. D’altro canto, un
autentico lettore deve tenere a bada sin dall'inizio il suo desiderio di
apprendere: se la conoscenza si impone a lui tanto meglio, ma mettersi alla sua
ricerca, magari per leggere secondo un sistema, o per diventare uno specialista
e un’autorità in materia ha forti possibilità di uccidere quella che a noi
piace considerare la più nobile passione per la lettura pura e disinteressata.
Detto questo, possiamo facilmente tracciare un ritratto benevolo del topo di
biblioteca senza trattenerci dal ridere un po’ alle sue spalle. Proviamo a
immaginare una figura pallida e delicata in vestaglia, persa in rimuginazioni,
incapace di alzare un bollitore dal fuoco o di rivolgersi a una signora senza
arrossire; uno che non sa le notizie del giorno, per quanto sia informatissimo
sui cataloghi delle librerie dell’usato nei cui oscuri paraggi trascorre le ore
in cui il sole è alto: è indubbiamente un tipo gradevole nella sua burbera
semplicità, ma per nulla somigliante all'altro al quale vogliamo rivolgere la
nostra attenzione. Perché il vero lettore è giovane nella sua essenza. È una
persona d’intensa curiosità, piena d’idee, aperta e comunicativa, per la quale
leggere ha più il carattere di un vigoroso esercizio all'aria aperta che non
quello di studiare al chiuso; egli va avanti per la sua strada, s’arrampica
sempre più in alto su per le colline ché l’aria non diventa troppo sottile
anche solo per respirare; leggere per lui non è affatto una ricerca da svolgere
a tavolino”.
Ettore Scola
intervistato da Antonio Gnoli dice una cosa che ogni lettore e bibliofilo sente
come imprescindibile “Ho imparato ad amare i libri. Oggi mi sorprendo a volte a
spostarli nella mia biblioteca. Perché? Perché c'è un ordine segreto. I libri non puoi metterli a caso.
L'altro giorno ho riposto Cervantes accanto a Tolstoj. E ho pensato: se vicino
ad Anna Karenina c' è Don Chisciotte, di sicuro quest'ultimo farà di tutto per
salvarla”.
Wilhelm Schmid indica
al punto 87 Essere a casa nei libri, del
suo L'arte dell'equilibrio. 100 tessere
per l'arte di vivere “Anche voi vi sentite a casa dove ci sono dei libri? La
libreria casalinga dà un senso di protezione. La biblioteca pubblica sembra una
via di fuga permanente dalle angustie quotidiane. E le librerie diventano luoghi
in cui vivere, soprattutto quando ci sono angoli in cui sedersi e sprofondare
nelle letture del cuore. Perché i libri ci danno un sentimento di protezione? Certo
è innanzitutto il fatto che i libri figurano possibilità. Provocano la domanda
su ciò che si nasconde dentro di noi. Ben oltre la realtà da cui siamo
dominati, i libri lasciano parlare i sentimenti, ci spingono a pensare,
risvegliano la fantasia e dischiudono le nostre idee, ci lasciano
fantasticherie sulle storie e sui destini nascosti dentro di noi”.
Siri Hustvedt in L’estate senza uomini scrive che le
biblioteche sono fabbriche di sogni erotici. “Era cominciato tutto in
biblioteca, con Kant. Le biblioteche sono fabbriche di sogni erotici. Li
stimola il languore del corpo, che deve trovare una posizione comoda – gambe
accavallate, gomito a cui appoggiarsi, schiena allungata – ma non deve andare
da nessuna parte. Li stimola anche la lettura e il fatto di alzare lo sguardo
da quello che si sta leggendo: la mente lascia il libro e vaga verso un polso o
una coscia, reali o immaginari. Li stimola anche l’oscurità degli scaffali,
perché dà l’idea di nascondere qualcosa. Li stimola l’odore della carta e delle
rilegature, e probabilmente anche quello di colla vecchia. Kant non era
difficile: La critica della ragion pratica era molto più
della Ragion pura, ma avevo vent’anni, e la Pratica era già abbastanza
difficile, e lui si era proteso verso di me per vedere cosa stavo leggendo…”.
E lascio per oggi l’ultima parola di nuovo a J. L. Borges che nelle lezioni
americane raccolte in L’invenzione della
poesia scrive “Il vescovo
Berkeley (che, vi rammento, è stato un profeta della grandezza degli Stati
Uniti) ha detto che il sapore della mela non si trova nella mela - che non può
gustare se stessa - né nella bocca di colui che la mangia. Ci vuole un contatto
fra l'una e l'altra. Lo stesso accade nel caso di un libro o di una raccolta di
libri, una biblioteca. Un libro è un oggetto fisico in un mondo di oggetti
fisici. È un insieme di simboli morti. Poi arriva il buon lettore e le parole -
o meglio, la poesia che sta dietro le parole, perché le parole in sé sono
semplici simboli - tornano in vita. Ed ecco la resurrezione della parola”.
Ecco la resurrezione della parola.
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