lunedì 16 marzo 2020

Cronache dall'anno senza Carnevale/8: ritratto dei libri nelle loro dimore


I libri abitano con noi, nelle nostre case, nelle nostre librerie e biblioteche personali.  
Iniziano la loro vita mondana in una libreria i nostri libri che ancora non sono tali. Milano, in un tempo non troppo lontano, pullulava di librerie e bancarelle di libri usati che erano una gioia per gli occhi e per la mente. Qui ne citerò poche, ma sono quelle che più ho frequentato negli anni, molte non ci sono più e me ne dolgo ancora, ma dentro di me, eccome se ci sono.
La prima libreria di cui ho varcato la soglia è stata la Rizzoli in Galleria. Con il mio primo modesto stipendio da impiegata-ragazzina ho comprato le poesie di Quasimodo, Saba, Ungaretti e Montale. Avevo quindici anni e avevo scritto la mia prima poesia sull’arrivo della primavera. Oltre ai poeti che leggevamo, malamente, a scuola, avevo bisogno di confrontarmi con altri. In Rizzoli ho poi comprato anche Baudelaire, Mallarmé, Rilke, Bramati, Anedda, De Angelis, nei decenni successivi. Nelle estati delle scuole superiori lavoravo in una ditta che faceva import/export di materiale per elettronica ed elettrotecnica che era ubicata in Via Manzoni 31, dove ora c’è l’hotel Armani. Anche questa storia del mio primo lavoro la lascio in sospeso per futuri racconti, ma in Via Manzoni c’era anche la prima libreria Feltrinelli della città. Ci andavo quasi tutti i giorni e c’era sempre qualcosa di nuovo da scoprire. Lì ho conosciuto Roberto Cerati che si intratteneva spesso con il libraio Casati, ho assistito a non so quante presentazioni ed era bellissimo. Per uno strano caso del destino l’ultima volta che ho incontrato Cerati, è stato a Parigi nella libreria Shakespeare and Company, non molto tempo prima della sua scomparsa. In via Manzoni, in un angoletto nascosto c’era la libreria Einaudi, ma non ci andavo spesso. Sempre in Galleria c’era la storica libreria Garzanti, anche lì scorazzavo di frequente e ci compravo soprattutto saggistica. Spostandomi dal centro, avevo iniziato a frequentare la libreria Gorizia Due in viale Gorizia. Giuliana e Clementina, libraie e ragazze del Sessantotto, sono state tra le amiche più care della mia gioventù. Da loro ho comprato i diari di Anais Nin, i romanzi di Marie Cardinal, a partire dal fondamentale Le parole per dirlo, i racconti di Katherine Mansfield, i due volumetti con la copertina viola editi da Adelphi. Andavo spesso anche alla libreria Sapere di piazza Vetra, alla libreria della facoltà di Scienze Politiche Cuesp, alla libreria delle Donne in via Dogana, alla libreria Utopia di largo La Foppa, libreria che avrà sempre un posto speciale nel mio cuore e con la quale ho collaborato nell’organizzare presentazioni di libri e interi cicli di conferenze per venti anni circa dal 1987 al 2006. Sì, anche questa della libreria Utopia è una storia che apre una divagazione nei miei ricordi e quindi la terrò buona per un futuro racconto.
Non posso tralasciare il libraccio, anche perché via Corsico 9 è la mia casa natale e dove ora c’è il Libraccio “nuovo” c’era un forno con negozio e credo che i panettieri si chiamassero Cesira e Giovanni, mentre nei locali di fronte c’era una salumeria gastronomia di cui ricordo, soprattutto e chissà perché, le olive in salamoia.
Delle librerie statunitensi voglio ricordare la Pageant Book and Printshop di New York e la libreria del campus di Harvard. A Parigi la già citata Shakespeare and Company, la Hune e le Divan. A Londra la libreria di 84 Charing Cross Road, che quando ci sono andata non esisteva già più ma ci sono meravigliose altre librerie antiquarie nei paraggi, e Foyles dove sono uscita con libri a chili.
Delle bancarelle, cugine delle librerie, dove spigolavo, in piazza Cavour, in piazza Cordusio, in Via de Amicis, in largo Cairoli, in piazzale Cantore credo ne sia rimasta solo una. In piazzale Cantore, Angela Pasqua e suo marito compravano e vendevano libri fondamentali e dove ho comprato il cofanetto appartenuto a Cesare Musatti della traduzione della Recherche. Di bancarelle dove spigolare me ne sono rimaste solo due, per me simboli di resistenza umana in piazzale Baracca quella di Stefano Cesana e quella in piazzale Loreto. Le bancarelle sono le dimore dei libri che sono già appartenuti a qualcuno, per questo mi piace andarci a curiosare e l’ho fatto in tutte le città, i paesi dove sono stata, anche se non ne parlavo la lingua come in Germania, ma soprattutto ricordo i bouquinistes del lungo Senna parigino.
Dunque, le librerie sono le prime dimore dei libri che vengono acquistati e poi sbarcano, come astronauti su Marte, nelle nostre librerie. E qui viene il bello, perché ci sono tanti modi di sistemare una libreria tanti quanti sono i lettori e i bibliofili. Da bambina saccheggiavo, senza controllo alcuno, la biblioteca paterna e iniziavo ad accumulare i miei libri. Quando sono andata a vivere da sola, per il trasloco dei libri mi aiutarono mio fratello e i suoi amici, ci vollero un paio di giorni per governare quella migrazione. A mio fratello ho destinato uno dei regali più costosi, e utili, mai fatti in vita mia. Quando finì le superiori andammo nella Feltrinelli di Via Manzoni e gli regalai, in varie visite, un milione di lire in libri. Nella casa successiva alla prima casa da single, quella dove vivo tutt’ora, a un certo punto della vita mi sono arresa all’ordine perché i libri mi hanno dettato dove volevano stare. Così ci sono i ripiani dei libri più amati, quelli tematici, poesia, antropologia, viaggi, psicologia, psicoanalisi, femminismo - passioni antiche - fisica, neuroscienze e storia - passioni più recenti, dove i libri letti e quelli da leggere sono ordinati per autore. Anche i romanzi sono ordinati per autore e, se è il caso, per editore. E in questi giorni, nel tardo pomeriggio, dopo il lavoro flessibile, ho iniziato a riordinare e a raggruppare i libri dedicati alla scrittura e alla lettura e anche all’uso terapeutico che se ne può fare. Altri ripiani molto popolati sono quelli delle biografie, autobiografie, monografie, epistolari e diari di scrittrici, scrittori e poeti. Grazie a questa dotazione ho potuto a scrivere le voci biografiche di Anne Sexton, Sylvia Plath, Agota Kristof, Irène Némirovsky, Grazia Livi, Marie Cardinal, Virginia Woolf e Katherine Mansfield per l’Enciclopedia delle donne.
Alcuni libri passano poi dalle librerie alle biblioteche e sono, forse, i più fortunati perché avranno molti più amanti e amici di quelli reclusi nelle dimore private, da cui a volte arrivano donazioni verso le biblioteche pubbliche.
Ecco, per oggi ho finito e per chiudere questa nuova Cronaca, faccio una breve scorribanda in biblioteche più o meno note ma che hanno quel qualcosa in più perché sono state nominate da grandi autori del recente passato. Riporto qui alcune citazioni che ho già utilizzato nel blog, ma in questi giorni ho bisogno dell’immaginazione e della sapienza degli scrittori e scrittrici che amo.
La biblioteca infinita e celestiale di J. L. Borges era la sua idea di Paradiso.
Umberto Eco si è fatto riprendere mentre cammina nella sua biblioteca labirinto di Milano.
Marguerite Yourcenar scriveva in dei suoi due libri per me più belli Memorie di Adriano “Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire. Ho ricostruito molto, e ricostruire significa collaborare con il tempo, nel suo aspetto di "passato", coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo quasi verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti”.
Alberto Manguel nella sua Una storia della lettura racconta una storia di tempi lontanissimi “Nel X secolo Abdul Kassem Ismael, gran visir del regno di Persia, per non far confusione con la sua collezione di 117.000 volumi, quando se li portava in viaggio, li faceva caricare su una carovana di quattrocento cammelli che dovevano marciare in ordine alfabetico”.
Amos Oz tocca un vertice quando narra in Una storia d’amore e di tenebra del suo desiderio di diventare un libro e non uno scrittore “Solo di libri, da noi, c’era abbondanza da una parte all’altra, in corridoio e in cucina e in ingresso e sui davanzali delle finestre e dappertutto. Migliaia di volumi, in ogni angolo della casa. C’era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. Quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore non è difficile ucciderlo. Mentre un libro quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca, a Reykjavik, Valladolid, Vancouver”.
Virginia Woolf racconta di lettori e biblioteche in Voltando pagina. Saggi 1904-1941 “Cominciamo col chiarire la vecchia confusione tra chi ama apprendere e chi invece ama leggere, sottolineando che non esiste alcuna relazione fra i due. Un uomo colto è un tipo sedentario, un entusiasta assorto e solitario che cerca di scoprire attraverso i libri un granello di verità che gli sia particolarmente a cuore. Quando lo prende la passione della lettura, il sapere da lui conquistato vacilla e gli svanisce fra le dita. D’altro canto, un autentico lettore deve tenere a bada sin dall'inizio il suo desiderio di apprendere: se la conoscenza si impone a lui tanto meglio, ma mettersi alla sua ricerca, magari per leggere secondo un sistema, o per diventare uno specialista e un’autorità in materia ha forti possibilità di uccidere quella che a noi piace considerare la più nobile passione per la lettura pura e disinteressata. Detto questo, possiamo facilmente tracciare un ritratto benevolo del topo di biblioteca senza trattenerci dal ridere un po’ alle sue spalle. Proviamo a immaginare una figura pallida e delicata in vestaglia, persa in rimuginazioni, incapace di alzare un bollitore dal fuoco o di rivolgersi a una signora senza arrossire; uno che non sa le notizie del giorno, per quanto sia informatissimo sui cataloghi delle librerie dell’usato nei cui oscuri paraggi trascorre le ore in cui il sole è alto: è indubbiamente un tipo gradevole nella sua burbera semplicità, ma per nulla somigliante all'altro al quale vogliamo rivolgere la nostra attenzione. Perché il vero lettore è giovane nella sua essenza. È una persona d’intensa curiosità, piena d’idee, aperta e comunicativa, per la quale leggere ha più il carattere di un vigoroso esercizio all'aria aperta che non quello di studiare al chiuso; egli va avanti per la sua strada, s’arrampica sempre più in alto su per le colline ché l’aria non diventa troppo sottile anche solo per respirare; leggere per lui non è affatto una ricerca da svolgere a tavolino”.
Ettore Scola intervistato da Antonio Gnoli dice una cosa che ogni lettore e bibliofilo sente come imprescindibile “Ho imparato ad amare i libri. Oggi mi sorprendo a volte a spostarli nella mia biblioteca. Perché? Perché c'è un ordine segreto. I libri non puoi metterli a caso. L'altro giorno ho riposto Cervantes accanto a Tolstoj. E ho pensato: se vicino ad Anna Karenina c' è Don Chisciotte, di sicuro quest'ultimo farà di tutto per salvarla”.
Wilhelm Schmid indica al punto 87 Essere a casa nei libri, del suo L'arte dell'equilibrio. 100 tessere per l'arte di vivere “Anche voi vi sentite a casa dove ci sono dei libri? La libreria casalinga dà un senso di protezione. La biblioteca pubblica sembra una via di fuga permanente dalle angustie quotidiane. E le librerie diventano luoghi in cui vivere, soprattutto quando ci sono angoli in cui sedersi e sprofondare nelle letture del cuore. Perché i libri ci danno un sentimento di protezione? Certo è innanzitutto il fatto che i libri figurano possibilità. Provocano la domanda su ciò che si nasconde dentro di noi. Ben oltre la realtà da cui siamo dominati, i libri lasciano parlare i sentimenti, ci spingono a pensare, risvegliano la fantasia e dischiudono le nostre idee, ci lasciano fantasticherie sulle storie e sui destini nascosti dentro di noi”.
Siri Hustvedt in L’estate senza uomini scrive che le biblioteche sono fabbriche di sogni erotici. “Era cominciato tutto in biblioteca, con Kant. Le biblioteche sono fabbriche di sogni erotici. Li stimola il languore del corpo, che deve trovare una posizione comoda – gambe accavallate, gomito a cui appoggiarsi, schiena allungata – ma non deve andare da nessuna parte. Li stimola anche la lettura e il fatto di alzare lo sguardo da quello che si sta leggendo: la mente lascia il libro e vaga verso un polso o una coscia, reali o immaginari. Li stimola anche l’oscurità degli scaffali, perché dà l’idea di nascondere qualcosa. Li stimola l’odore della carta e delle rilegature, e probabilmente anche quello di colla vecchia. Kant non era difficile: La critica della ragion pratica era molto più della Ragion pura, ma avevo vent’anni, e la Pratica era già abbastanza difficile, e lui si era proteso verso di me per vedere cosa stavo leggendo…”.
E lascio per oggi l’ultima parola di nuovo a J. L. Borges che nelle lezioni americane raccolte in L’invenzione della poesia scrive “Il vescovo Berkeley (che, vi rammento, è stato un profeta della grandezza degli Stati Uniti) ha detto che il sapore della mela non si trova nella mela - che non può gustare se stessa - né nella bocca di colui che la mangia. Ci vuole un contatto fra l'una e l'altra. Lo stesso accade nel caso di un libro o di una raccolta di libri, una biblioteca. Un libro è un oggetto fisico in un mondo di oggetti fisici. È un insieme di simboli morti. Poi arriva il buon lettore e le parole - o meglio, la poesia che sta dietro le parole, perché le parole in sé sono semplici simboli - tornano in vita. Ed ecco la resurrezione della parola”.
Ecco la resurrezione della parola.



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