Procedo a piccoli passi, mi incanto, conto le piastrelle, le
fughe, i centimetri e i metri quadrati.
Vivo in compagnia dei libri, dei lupi e delle sirene. Vivo
in compagnia di molte assenze, come scriveva la Dickinson, vivo in compagnia
delle vostre assenze, più acute presenze, come diceva Bertolucci, di voi che amo e siete lontani. Vivo
con i miei fantasmi e le nostalgie, non sono mai sola.
Il mattino conto le lame di luce che attraversano le vetuste
persiane di legno, dal loro canto so il numero degli uccellini. Conto il
silenzio e le sue voci, le folate di vento che fugge tra alberi e tetti. Conto
le ore del sonno che sono abbastanza, le ore che danno rifugio da questo mondo
e su un mondo più vasto e oscuro, misterioso, si aprono.
Le ore del giorno si accatastano una sull'altra come i
reperti di un naufragio.
Un unico lungo giorno si staglia alle mie spalle. Un unico
lungo giorno si stende davanti a me.
Soltanto le vostre voci interrompono, di tanto in tanto, il
mio quieto dialogare con ricordi e cose.
Ed ecco che le vostre voci umane irrompono e danno colore al
mondo, senza la voce che porta il pensiero, che porta alle mie orecchie ciò che
i miei occhi non possono vedere, nulla avrebbe senso, nulla darebbe senso alla
vita.
Ogni voce che posso udire al telefono porta in sé l’ombra
delle conversazioni più antiche, costruisce nei miei occhi l’immagine di chi
parla.
Così ricordo una passeggiata in un viale cinto di querce,
dove il crinale si staglia tra due province e due campagne.
Ci sdraiamo insieme nel prato, Elena, Annalisa, Edoardo,
Grazia e Danilo. Conosciamo già quei panorami, quel luogo è uno dei luoghi
segreti della nostra amicizia. C’è anche una villa sempre chiusa, con ampi
porticati e un abbeveratoio scavato nella pietra dove favoleggiamo di trascorrere
l’estate in un anno che verrà.
Rondini sfrecciano nel cielo terso della primavera nel suo
pieno splendore, il grano è ancora verde e asseconda il vento nei suoi giochi
scherzosi.
Papaveri, fiordalisi, non ti scordar di me. I ciliegi in
fiore interrompono tutto questo verde che pare un oceano e come un oceano porta
alle sue rive i versi ancora monchi che popoleranno le nostre poesie.
Torneranno nelle tue passeggiate nella terra natale
Annalisa, quello che abbiamo visto insieme, nessuna creatura resterà senza
voce, nessun albero o sentiero.
Tornerà tutto questo invisibile che tu non hai rivelato a
voce Danilo, tornerà nelle tue poesie e noi avremo visto quel che non era dato
vedere nei giorni gloriosi della nostra primavera.
La tua lingua Edoardo, si nutre di Lombardia e Inghilterra,
suoni remoti di un altro tempo trovano vita nei tuoi sonetti, e io ascolto e
capisco, leggo e capisco questa tua lingua lombarda così lontana dalle mie
lingue originarie, ma che sento risuonare in me.
Tu Grazia ci avrai ascoltati con la tua nota attenzione e
con la grazia, non solo di nome, che ti contraddistingue, sei diventata il nume
tutelare di questi poeti ciarlieri e muti allo stesso tempo.
Garriscono le rondini che stanno scrivendo le pagine del
cielo, sento il rumore dei loro voli in picchiata, sento il vento, sento il
profumo dell’erba, sento le vostre voci e poi il nostro silenzio.
Ricordo un mattino di nebbia e pioggia, un primo giorno
dell’anno dove abbiamo camminato lungo le marcite dal Molino d’Isella sino alla
campagna popolata di cascine e gelo. Abbiamo lasciato le nostre impronte nel
fango fresco, abbiamo cercato tracce di animali, ma il cuore dell’inverno è
ancora più segreto di quello di un poeta e solo nei versi ho ritrovata
impressioni di un tempo che è stato, di una dolcezza della stagione nella sua
più pura solitudine, quando solo i rami spogli disegnano il cielo, insieme al
fumo discreto che sale dei camini accesi.
Torneranno questi giorni e avranno l’eco di cose già viste e
già vissute, e sarà ancora più bello essere tra quei campi e quei sentieri,
sarà quando lo sguardo e il ricordo di un altro sguardo siederanno accanto nei
nostri occhi e nelle menti.
La voce di Rossana mi giunge dalla più lontana Russia, Mosca
e Pietroburgo hanno dolcezza di miele quando mi parla nella sua lingua materna,
un dono ancor più prezioso perché di rado la lingua della madre trova dimora
nella nostra città. Anche in questi giorni di chiusura e timore la sua voce
tintinna dei campanelli appesi alla slitta e presto arriverà il disgelo,
sentiremo il lamento del ghiaccio che ritorna acqua e la trasparenza dei
fondali, trasformarsi in onde impetuose che non possono fermare la fuga verso
il mare. Allora potremo tornare in uno dei vecchi ristoranti sui Navigli dove d’inverno
accendono il camino e festeggiare la nuova stagione, l’inedita stagione della
vita che riprende e tutti potremo uscire da un tempo senza tempo e lasciarci
trasportare come
storie portate dal vento.
La poesia seguente è tratta dal mio ultimo libro Un’estate invincibile, Atì editore 2019.
Le storie portate dal vento
Se potessi scegliere come
volare, aprirei le mie ali di
rondine e ogni anno tornerei
là dove sono nata e ogni anno
partirei verso il mare che
diventa oceano per scoprire
quanto forti sono queste mie
ali e quanto immenso quel
desiderio di acqua rissosa
come è il mare nei giorni
di vento, infinito, ingannevole
come l’oceano è, quando mi
fermo a riposare.
Ma qui le ali devo tenerle
piegate per non spaventare
chi cammina soltanto e mai
guarda in alto, dove le foglie
anelano la pioggia e l’albero
è il segreto che custodisce nidi,
e il mio cuore sta appeso
alla grondaia da dove guardo
i libri e la libreria, altri alberi che
ora sono caduti e non ascoltano
più le storie portate dal vento.
1 commento:
Il silenzio di questi giorni faticosi è riempito dai tuoi scritti che alleviano balsamo miracoloso le paure che mi assalgono. Ti abbraccio
Posta un commento