Mare, madre. Solo una lettera d vi separa, solo la punta
della lingua che si apre sui denti. Posso evocarvi entrambi mare e madre, vi
vedo con gli occhi del ricordo in un tempo che è stato. So che rivedrò il mare
ma non te madre.
Amavi il mare più di ogni altro luogo, mi dicevi che da
bambina stavi ore e ore sdraiata sugli scogli perché avevi problemi alla
schiena e dovevi prendere il sole. Non hai mai imparato a nuotare perché, molto
piccola, avevi rischiato di affogare, spinta sott’acqua da tua sorella Franca e
dalla sua amica Sabellina. Sapevi vincere la paura, però, ed entravi in acqua
fino alle spalle e attaccata a un salvagente provavi la leggerezza del
galleggiare. Non volevi che nessuno si avvicinasse, come quando lavoravi sul
tuo terrazzino alle piante che crescevano rigogliose al tuo tocco. Ho imparato
ad amare il mare con te e mio padre, da sempre, da quando piccolissima mi
lasciavo sprofondare con gli occhi aperti, quando ho rischiato di affogare,
proprio come accadde a te, nel canale che un terremoto recente aveva allargato
e io sono finita sotto il canotto e ho visto le alghe e qualche anguilla che mi
girava intorno. Mi piaceva il silenzio di quei momenti, quando l’acqua e la
pressione facevano scemare i rumori del mondo di sopra. A entrambe piaceva fare
un ultimo bagno prima di andare a mangiare, quando il mare e la spiaggia già si
erano svuotati. Ci piaceva anche passeggiare il mattino prestissimo, solo noi
due, parlando sottovoce e ascoltando la voce delle onde. Ricordo una passeggiata
a Villapiana, erano solo le sette del matitino e noi a piedi nudi. Mare, madre,
quelle passeggiate calabresi le abbiamo ripetute a Marcelli di Numana, a Sestri
Levante e a Pietra Ligure. Quando ci svegliavamo molto presto, senza che
nessuno ci dicesse che era l’ora giusta, infilavamo il costume, il prendisole e
le ciabattine e giù in spiaggia. Una mattina a Sestri sono andata a fare il
bagno da sola mentre tu ti preparavi, non c’era nessuno nella Baia del Silenzio
e affacciata dal balcone solo tu che mi osservavi. È uno dei ricordi più vividi
di te d’estate, la tua stagione più di ogni altra. Ricordo l’acqua fresca, le onde
piccole, il vento, i gabbiani, l’odore di sale e resina, la boa cui mi
aggrappavo per lasciare che i pensieri fossero trascinati al largo dal vento
sottile. La sera, la terrazza dell’albergo diventava un ristorante all’aperto,
scendevamo sempre prestissimo perché ci piaceva sederci il più possibile vicino
alla spiaggia e guardare la luce che scemava e l’argento che ricopriva ogni
cosa di una patina lucente prima che il buio avesse il sopravvento.
Sei vasta come il mare, madre e altrettanto imprevedibile, i
tuoi pensieri portati dal vento come le nuvole, i tuoi desideri sussurrati ai
pesci e mai rivelati a nessuno, neanche a me.
Non ti piaceva raccontare di te e il poco che so della tua
vita prima che io nascessi l’ho dovuto tendere e tirare dal tuo gomitolo di
ricordi e di parole discrete. C’è però qualcosa di rassicurante nel sapere che mai,
comunque, sarei potuta arrivare a scoprire chi tu sia stata fino in fondo.
Amavi i fiori, soprattutto le rose, amavi la luce piena del
sole e impastare la farina per farne pasta e focacce. Riconoscevi i tessuti al
tatto, senza guardarli e i nomi di tutti i colori. Ho imparato da te cosa sono
il percalle, il velluto, il piqué, lo shantung di seta, il lino, il cammello,
la lana, il jersey, il pizzo, la gabardine e lo chiffon, l’organza e il
taffetà. Dalle tue mani uscivano abiti meravigliosi che prima disegnavi,
modellavi e poi cucivi.
L’arte della trasformazione era tua, tua la bellezza di cui
ti circondavi.
Acqua, mare, vento, fiori, i tuoi capelli fini, le tue mani
forti madre. Alle tue mani ho dato l’ultima carezza, ho preso la tua e la porterò
con me per affidarle alle onde.
Sarà una spiaggia il luogo dove ci ritroveremo e non avremo
bisogno di parole.
Mi prenderai le mani e io ti sorriderò. Saremo due donne
della stessa età, l’età che sceglieremo.
Lì nel luogo dove riposano tutti i venti.
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