La percezione più immediata che ciascuno ha di se stesso è
del proprio corpo come una barriera, un rifugio, un mondo, la cosa che ci
contiene, che ci differenzia, che ci rende unici.
Il corpo non è mai stato davvero un elemento individuale,
certo ciascun individuo è un corpo che la società e lo spirito del tempo in cui
vive, disegnano e mettono in scena. Il corpo appartiene a Dio, al Re, alla
Rivoluzione, alla Causa, alla Ditta, allo sguardo dell’altro. I nostri corpi di
viventi del XXI secolo appartengono soprattutto all'autorappresentazione a
mezzo selfie in una perpetua glorificazione di istanti che si susseguono l’un l’altro.
Questo fino all'altro ieri perché il nemico invisibile che
ci assedia ci ha fatti ripiombare tutti nella reale carnalità della nostra
esistenza terrena. E il nostro corpo è diventato quella fortezza che ci
protegge e che dobbiamo proteggere a discapito della vita economica e sociale.
Ogni corpo che incrociamo è il portatore potenziale di una
disgrazia, di una malattia che può condurci all'esito fatale e nel peggiore dei
modi, senza più essere in grado di respirare.
Avete mai avuto una crisi respiratoria, rischiato di
affogare? Riuscite, riusciamo a immaginare?
Conosco entrambe le esperienze, le ricordo molto bene, non
mi risparmio nel ricordarle perché la paura che ho provato può aiutarmi a
essere prudente.
Sono moltissime le persone ancora incredule rispetto alla
perniciosità del Covid-19 ma dobbiamo imparare di nuovo a fidarci dell’autorevolezza
degli esperti, fidarci degli anni che hanno passato a studiare e a lavorare per
diventare esperti, uno non vale uno, la mia opinione da macchinetta da caffè
vale per quello che è, appunto solo un’opinione. La falsa democrazia del web,
le bolle che ciascuno si costruisce con le proprie navigazioni, ci offrono una
platea potenzialmente infinita e ci rendono facili prede di venditori di fumo e
incantatori da fiera. Essere esperti, avere studiato significa avere trascorso
buona parte della propria vita seduti a studiare, a memorizzare le informazioni
fondamentali della propria disciplina, a metterle in relazione, a confutarle, a
sperimentarle, a provare nuove direzioni di ricerca. Lo studio è fatica, la
scrittura è fatica e la disciplina che ci imponiamo, che imponiamo al nostro
corpo è la prima condizione di ogni lavoro ben fatto.
I corpi di chi svolge lavori intellettuali e di ricerca, in
questi giorni sono perlopiù rinchiusi nelle abitazioni, davanti a un pc o un
tablet, a macinare informazioni, produrre report, condividere con i colleghi il
lavoro che si sta facendo.
A Milano credo siano ormai migliaia gli abitanti che stanno
facendo smart working e hanno il conforto della propria casa e dei propri cari,
in una convivenza che esula da ogni scenario conosciuto e mette a dura prova la
resistenza di ciascuno. La cosa più difficile, probabilmente, è tenere a bada e
disciplinare l’energia sconfinata di bambini e adolescenti che non capiscono la
portata reale del rischio, chi di noi adolescente pensava di essere una
creatura mortale?
Vivere chiusi in casa, poterlo fare, è un privilegio legato
alla professione, anche se molte di queste professioni del terziario avanzato
(come si diceva una volta) sono mal pagate e precarie e si viene pagati un
tanto al pezzo come a una catena di montaggio. Molto diversa è la situazione
per chi svolge di cura, di beni di prima necessità. I loro corpi sono segregati
in queste settimane negli ospedali, nei tanto temuti reparti di terapia
intensiva. Il loro rischio di ammalarsi è infinitamente e statisticamente più
alto rispetto a qualunque altra categoria sociale. Dobbiamo sperare che loro
non si ammalino perché ogni medico e infermiere ammalato è sottratto alle cure
di decine di pazienti. Poi ci sono i corpi dei negozianti, dei farmacisti,
delle cassiere dei supermercati, degli addetti alle filiali bancarie e postali.
Il loro lavoro è indispensabile al funzionamento della macchina sociale. Oggi in
Lombardia e Veneto i politici locali stanno chiedendo misure ancor più
drastiche di chiusura in queste regioni, una scelta che andrebbe a paralizzare
per due settimane il cuore produttivo del Paese. È veramente necessario? È una
scelta dovuta al buon senso o a un calcolo politico che li costringe a differenziarsi
dalla politica nazionale per non esserne travolti?
Sono domande legittime, che ogni cittadino deve porsi, a
prescindere dal proprio mestiere e livello di rischio.
Poi, ancora prima di chi lavora chiuso in casa, di chi
lavora a contatto con i clienti, ci sono i corpi invisibili degli operai. Scomparsi
dalla scena sociale da decenni continuano, invece, a essere il livello zero di
qualunque catena produttiva. Gli scenari sono molto cambiati grazie all'automazione,
ma ci sono lavori che possono essere impostati e realizzati solo grazie all'ntelligenza
e alle mani dei lavoratori. Soprattutto quando si tratta di mestieri artigianali
che realizzano pezzi unici. Le mani, le loro mani danno forma al mondo in cui
abitiamo, rendono più bello il paesaggio urbano e quello domestico, ci
consentono di scegliere tra molteplici oggetti che andranno ad arredare le
nostre case e a definire il nostro stile personale.
Perché ho voluto mettere insieme queste piccole riflessioni
a sfondo sociologico? La sociologia è la disciplina che più ho studiato nella
mia carriera universitaria, nella facoltà di Scienze Politiche in via
Conservatorio a Milano, un luogo che continua ad avere per me un fascino
illuminista anche se è ormai un luogo irriconoscibile. Negli anni in cui
frequentavo le lezioni i docenti erano, tra gli altri, Alessandro Pizzorno,
Alberto Melucci, Giuseppe Abbatecola, Paolo Trivellato, Franca Pizzini, Bianca
Beccalli, Paolo Maranini, Antonella Besussi, Guido Martinotti, Alberto
Martinelli, e la sociologia riusciva a essere una guida per capire il nostro
mondo e il nostro modo di vivere e mi sono resa conto di quanto lo studio folle
e le letture di quegli anni abbiano contribuito alla mia formazione più di
quanto non avessi compreso sino ad ora.
Per questo mi sono lasciata andare a questi pensieri scritti
a mano – e poi copiati – perché le immagini dei nostri corpi, del mondo dentro
di noi e del mondo fuori di noi costituiscono i mattoni del nostro mondo
condiviso. Ognuno di noi vive un tempo, che è spazio continuo, e un luogo, uno
spazio fisico preciso, un istante alla volta ed è solo la memoria a permetterci
di ritornare in quei luoghi dove eravamo già stati.
Cosa ricorderemo tra dieci o vent'anni di questi giorni
allarmati? Oggi possiamo solo rispettare gli altri e il loro duro lavoro perché il futuro possa prendere forma, perché il tempo che viviamo dia senso alla
nostra vita.
1 commento:
Grazie per aver dato forma (poetica) a considerazioni che ci aiutano a rifletterè su questo fase così critica.
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