Nella vita di ognuno di noi ci sono oggetti che hanno un
valore particolare, che non è il valore intrinseco e nemmeno il valore d’uso. Questi
oggetti sono speciali perché hanno vissuto con noi momenti speciali, momenti
che vogliamo ricordare anche per le persone che erano con noi in quei
frangenti.
Io amo circondarmi di oggetti, non mi piacciono il vuoto, le
case minimaliste, mi piace guardarmi intorno e sfiorare con lo sguardo quel che
mi ricorda ciò che è stato.
In cucina ho una piccola collezione di bottiglie verdi da
vino. Ognuna di esse appartiene a una sera speciale dove abbiamo cenato e
parlato e riso. Ci sono poi bottiglie trasparenti, fiori essiccati, un cestino,
un erogatore di gomme da masticare a pallina, di quelle che una volta si
trovavano sia nei bar che nei panettieri.
Il bollitore dell’acqua ha visto tempi migliori, ma funzione
ancora bene e, soprattutto, è l’ultimo acquisto che ho fatto in compagnia di
mio padre, un lontanissimo e fatale mese di maggio.
Ho poi anche un piccolo vassoio di vetro lavorato che risale
agli anni Venti che apparteneva alla nonna paterna. Quando arrivava qualcuno in
visita subito bisognava servire un caffè freddo nei bicchierini oppure un caffè
bollente fatto con la macchinetta napoletana, ma il vassoietto era sempre lo
stesso. In un cassetto conservo il ditale e gli occhiali di mia madre e piango
ogni volta che li tocco. Ho conservato anche un pacchetto di Marlboro vuote,
ricordo di una cena con gli amici poeti, e alcuni tappi di sughero di bottiglie
stappate per festeggiamenti vari.
Tra gli oggetti da tavola amo in maniera particolare i
bicchierini da liquore ricordo di un’amica andata a vivere nell'altro emisfero,
poi le posate che sono tutte scompagnate, o meglio ho forchetta, coltello, cucchiaio
e cucchiaino coordinati, ma le serie sono una ventina diverse. E ho anche le
posate che mio padre usava da militare e che aveva conservato.
Appese alle pareti ci sono molto fotografie, tra cui una che
riprende il mio ponte sui Navigli, quello che è stato intitolata ad Alda Merini
per intenderci, e un macinino da caffè degli anni Trenta, che arriva dall’Olanda,
un regalo di una persona che un tempo amavo.
In bagno c’è una saponetta profumata a forma di farfalla ancora
avvolta nel suo involucro che l’ha conservata intatta e boccette e flaconi in
alluminio della serie dei Coloniali che sono ormai fuori produzione. Il piattino
porta sapone, ricordo di un viaggio a Parigi, continua a svolgere la sua
funzione, ma non è solo quell'essere piattino che lo rende speciale.
Conservo in un cassetto in camera da letto il copri materasso
tessuto al telaio da mia nonna materna negli anni Venti, il maglione preferito
e la sciarpa di mio padre, una camicetta, una gonna e una canottiera di mia madre.
Quando li prendo in mano mi sembra ancora di sentire l’aroma della loro pelle,
il dopo barba di papà e il profumo Paris della mamma.
In soggiorno c’è la penna Parker con cui ho scritto i testi
di tutti gli esami universitari e quella con cui ho scritto la prima versione
dei Frammento del tredicesimo mese,
il mio primo romanzo. In un portapenne di peltro c’è la scorta di Bic turchesi
con cui scrivo le poesie, in un angolo della scrivania i quaderni intonsi, in
uno dei mobiletti quelli già scritti. Ci sono poi una trousse portacipria e
rossetto in pelle dorata degli anni Cinquanta che avevo comprato dal rigattiere
di viale Coni Zugna negli anni Ottanta, il vassoietto di ceramica arancione con
contenitori da toeletta che arriva dagli anni Venti britannici, lo scrittoio da
viaggio degli anni Cinquanta dell’Ottocento, sempre inglese, in legno
intarsiato comprato sull'isola di San Giulio negli anni Novanta e la macchina
da scrivere Olivetti, nera, con i tasti color avorio che mio padre aveva
comprato all'inizio degli anni Cinquanta quando è venuto a vivere a Milano. È con
quella macchina da scrivere che ho battuto il mio primo racconto 007 in gonnella che vinse un premio a un
concorso indetto da un quotidiano locale negli anni Settanta. In una scatola di
cartone bianco e oro, che conteneva un paio di guanti di pelle di capretto che
mia madre aveva ricevuto in dono da mio padre negli anni di fidanzamento,
conservo bigliettini e un cioccolatino fondente che non ho mai voluto mangiare.
In una scatola a cassettiera conservo le fotografie di famiglia che amo di più.
Ma la passione per le fotografie è un’altra storia che non voglio raccontare
adesso.
Gli oggetti non sono solo oggetti, hanno una vita segreta
che condividono con noi umani. Quanti oggetti conservate anche voi solo per
quel valore intrinseco che nessuno conosce? Gli oggetti, tutti gli oggetti
nelle nostre case fanno parte di quel che abbiamo vissuto, di chi siamo stati.
Arriva un momento poi, in cui non occorre avere letto gli
infiniti manuali giapponesi tanto in voga, per decidere che alcuni oggetti
hanno smesso di parlarci. E così li buttiamo, li ricicliamo a seconda del loro
stato. Ma non quegli oggetti speciali, quelli che hanno un’anima, quelli che
ritroveremo nel loro paradiso cui potremo accedere un giorno per sceglierne
qualcuno.
Lo sapevano i nostri antenati quando accostavano ai defunti
oggetti della vita quotidiana e oggetti preziosi. Non si affronta il viaggio,
breve o lungo che sarà, senza portarsi una cosa cara.
Sono così pieni di energia e di allegria gli oggetti amati,
fanno compagnia e fanno bene agli occhi.
Oggi ho iniziato a spolverarli con cura, la primavera vuole
trovare superfici splendenti per portare lo scompiglio dei rami e dei fiori
appena sbocciati.
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