lunedì 27 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/568. Una stagione di arrivi nel confine del giorno

 


La fioritura, la maturazione del frutto rispondono a leggi interne che non hanno bisogno di essere apprese. Così come non dobbiamo imparare a crescere, questo accade perché è nella natura degli esseri viventi nascere, crescere, declinare e infine morire. Forse la vita non è altro che questo tempo in quattro quarti che si ripete, giorno dopo giorno, mentre impercettibilmente cambiamo, cambiano le cellule del nostro corpo, cambiano le orbite degli atomi, siamo ancora quelli di ieri, siamo nell’oggi e siamo sempre, in ogni istante, figli del domani che è già dentro di noi. Eppure, tutti i nostri io passati, i corpi che siamo stati, anche se non si manifestano più in modo sensibile in questa realtà, non sono scomparsi per sempre. Perché siamo come gli alberi, abbiamo dentro di noi i cerchi concentrici che dichiarano la nostra crescita, l’alternarsi delle stagioni piovose e secche, il canto del vento e quello della pioggia. Il nostro corpo bambino è ancora dentro di noi, le ossa nelle ossa, il sangue nel sangue. Così nel presente ci troviamo a essere custodi inconsapevoli di chi eravamo e di quel che, un tempo, abbiamo pensato. È strano quando riusciamo a cogliere che la nostra vita, le nostre conversazioni, la lettura e la scrittura siano soprattutto declinazioni contemporanee del passato. Sto scrivendo questa nuova Cronaca e già l’incipit, la fioritura di cui ho appena scritto è una parola declinata nel tempo. Forse il segreto sta proprio in questa consapevolezza, l’avere imparato e accettato che il tempo non ritorna, che non possiamo precederlo, ma possiamo corrergli accanto, correre in lui e con lui. Così riusciamo a cogliere lo sfavillio delle cose e quello delle creature che respirano, due sfavillii differenti che rendono la vita questa esperienza sfolgorante che accade con noi, in noi e nell’istante. Passano gli istanti perché sono caduchi come le foglie e finita la stagione si arrendono e si lasciano andare. Le creature che respirano sono più propense ad aggrapparsi a questa forma della realtà, a provare nostalgia e speranza. Non è necessario avere una vita rigogliosa alle spalle per provare il morso della nostalgia e neanche una vita insoddisfacente adesso per avere speranze per un futuro nebuloso che cerca in questo presente le scintille per poter prendere vita.

 

Potersi sfiorare, come se le mani fossero reali

 

Non crescono mai insieme

la luce e l’ombra, dove una

avanza l’altra è costretta a

indietreggiare, non cercano

mai di andare oltre il confine

che il giorno assegna loro, sanno

che il confine è l’unico luogo

dove possono stare insieme

per pochi istanti, per pochi

istanti, così potersi sfiorare,

come se le mani fossero reali,

come se con la punta dell’indice

potessero sfiorare un libro,

un fiore o la tua mano.

 

 

Così l’amore per le cose sgorga da ogni singolo gesto, dalle sillabe, dai canti e dai sogni. Così impariamo l’alfabeto giusto per questa nuova stagione e accettiamo l’attesa e ci mettiamo in ascolto. Di cosa? Di Chi? Ci sono le voci dei bambini che escono da scuola, ci sono i clacson in fondo alla strada, c’è una donna ferma all’ombra dell’albero bellissimo che ride da sola. Cosa resterà di questo tempo se non l’ombra in queste mie parole nella Cronaca 568 di lunedì 27 settembre del secondo anno senza Carnevale? Ma è un’ombra che sulla pagina non riusciremo mai a leggere, è un’ombra che sta nella voce e nel vento.

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