mercoledì 8 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/549. Il mondo non può stare tutto intero nella vita di nessun uomo

 

Guardo il fiume scorrere verso la sua mèta, che non è il mare ma un altro fiume. Acqua su acqua, verde su verde. Cosa proverà l’acqua che non diventa salata, ma solo moltiplica la sua dolce verdezza? Guardo l’acqua che oscilla, freme e luccica sotto un diverso sole. Non sono più affacciato al mio balcone che guarda verso le piantagioni di caffè, sono seduto all’aperto, riconosco Venezia e accanto a me Iosif Brodskij che mi parla come se fosse un oracolo:

“Ripeto: acqua è uguale a tempo, e l'acqua offre alla bellezza il suo doppio. Noi, fatti in parte d'acqua, serviamo alla bellezza allo stesso modo. Toccando l'acqua, questa città migliora l'aspetto del tempo, abbellisce il futuro. Ecco la funzione di questa città nell'universo. Perché la città è statica mentre noi siamo in movimento. La lacrima ne è la dimostrazione. Perché noi andiamo e la bellezza resta. Perché noi siamo diretti verso il futuro mentre la bellezza è l'eterno presente. La lacrima è una regressione, un omaggio del futuro al passato. Ovvero è ciò che rimane sottraendo qualcosa di superiore a qualcosa di inferiore: la bellezza all'uomo. Lo stesso vale per l’amore, perché anche l’amore è superiore, anch'esso è più grande di chi ama”.

Mi sveglio con un sussulto, non ero a Venezia, ero in un sogno veneziano sognato da qualcun altro. Le piantagioni di caffè sono sempre l’immensa distesa che tinge il mio occhio, mi alzo e torno al mio tavolino, vorrei scrivere ancora di Maqroll e Bashur.

“Il mondo non può stare tutto intero nella vita di nessun uomo. Lo attraversiamo, lo riduciamo in immagini, forse in parole. Dal particolare vogliamo arrivare al tutto. Forse la letteratura ci riesce, forse ci riesce anche la pittura. Ma io posso dipingere solo attraverso le parole, se anche sapessi disegnare e tenere in mano un pennello, sono solo le parole che mi attraggono. Non ho scelto il mondo dove nascere, né i primi grandi viaggi con i miei genitori. Ho scelto dopo di andare dove loro non erano mai stati e tornare dove ho visto il mondo con gli occhi di un bambino. Questo altipiano è la mia vera casa, le storie di questa gente si intrecciano alla mia stessa storia. Sono quasi un vecchio, ma la forza del mio sguardo è sempre la stessa di allora. Mi concentro su un particolare e lo espando, lo fisso e come fa Lucente con le sue foglie di tè, vedo un altro mondo muoversi e chiamarmi a dirlo con parole nuove. La maggior parte della gente non è ossessionata dalle parole, certo amano le storie, ma basta loro ascoltare da una voce viva o guardarle al cinema, sempre meno al teatro. Quelli che leggono non vogliono usare i loro occhi e le loro orecchie, non vogliono esplorare il mondo esterno. Noi che leggiamo usiamo l’occhio interiore e l’orecchio che non ascolta ma sospira. Cerchiamo il mondo invisibile dei ricordi e delle storie, vogliamo che si manifesti nel teatro della nostra mente, nient’altro è importante, solo quando abbiamo finito di leggere una storia, pian piano il mondo si manifesta di nuovo, il solito mondo nel quale dobbiamo vivere, che l’abbiamo scelto o no”.

Ancora non sono pronto a scrivere un’altra storia da questa mia isola del tempo, così metto da parte il taccuino e continuo a leggere Iosif. So che c’è un luogo, al monastero di Colorno, dove gli scrittori, vivi e morti, vanno per incontrarsi e avere accesso alla Biblioteca di Babele, credo di essere quasi pronto a partire. Ma non subito, devo dire ancora qualcosa di Adelina e Lucente, devo loro almeno una storia che profumi di nebbia e caffè, che oscilli tra il fiume e il mare invisibile che da qui non riusciamo a vedere.

Continuo a stare in compagnia di Alvaro Mutis e di Maqroll il gabbiere anche in questa Cronaca 549 di mercoledì 8 settembre del secondo anno senza Carnevale, un anno di paure e mascheramenti, di fiumi indolenti e parole sognatrici. La citazione di Iosif Brodskij è tratta da

Fondamenta degli Incurabili, traduzione di Gilberto Forti, Adelphi 1991.

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