giovedì 16 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/557. E sono i nostri occhi a guardare e le nostre orecchie ad ascoltare

 


Ha solo dodici anni la bambina Assunta quando è costretta a lasciare la scuola e ad andare a lavorare presso la fabbrica tessile del paese. Mani, mani quante mani ha visto muoversi sui filati e sui telai? Forse quelle mani le sono rimaste negli occhi, forse tutta la povertà, la miseria morale e materiale che ha visto e vissuto le sono rimaste negli occhi. Nel Novecento non erano molte le strade che i poveri potevano imboccare per cercare un riscatto sociale. Ad Assunta lo studio era stato precluso, ma era bella e intensa e questo le aprì la strada degli studios hollywoodiani. Tina Modotti interpretò tre film prima di allontanarsi da quella che allora era chiamata la Mecca d’oro del cinema. Ma non le era piaciuto come il suo volto e il suo corpo erano stati messi in gioco. Si ritira dal cinema, incontra il fotografo Edward Weston, di cui sarà modella e amante, scopre di essere una fotografa dotata. Non le interessa la fotografia come forma d’arte, la fotografia per lei è una rappresentazione fedele della realtà, della miseria della povera gente, della sofferenza. In Messico, dove conoscerà l’amore della sua vita, il politico cubano Julio Antonio Mella, incontrerà anche Frida Khalo, non ancora famosa, e suo marito Diego Rivera già molto famoso. Anche loro sono ritratti nella piccola ma esaustiva mostra “Tina Modotti. Donne, Messico e libertà” che è in corso al MUDEC di Milano e sarà aperta sino al 7 novembre prossimo.

Sono molte le fotografie dedicate al popolo messicano, ci sono fotografie di mani e piedi segnati dalla fatica, di volti che sorridono, nonostante la fatica. Ci sono particolari architettonici, nature morte con cactus e calle, che mi hanno ricordato i dipinti di Georgia O’Keeffe, ci sono alcuni dei ritratti che le fece Weston, dove lei è nuda e bellissima. Ha sempre lo sguardo malinconico Tina, riesce a difendersi a stento dalle turpi accuse di complicità quando Mello viene assassinato. Non vivrà molti anni dopo, si spegnerà a causa del suo cuore ammalato nel 1942 a soli 45 anni. Nonostante il suo diniego della fotografia come arte, le sue immagini ci restituiscono uno sguardo poetico e dolente sul mondo. La fotografia, come le altre forme d’arte avviene in almeno due momenti principali, quando il fotografo scatta e poi quando stampa, cioè quando decide come e quanto ampia sarà la cornice di mondo intorno a quel che il suo occhio ha veduto. La mostra è bella, con la mia amica Elisabetta, siamo andate avanti e indietro un paio di volte per guardare meglio alcune fotografie e intanto parlavamo di scrittura. All’uscita, la vecchia sede dell’Ansaldo, impresa metalmeccanica ancora attiva negli anni Ottanta del secolo scorso, ci ha accolto in questo baretto all’aperto, proprio davanti alle vecchie officine. Il tempo è peggiorato rapidamente, siamo andate di buon passo a prendere la filovia circolare destra mentre si scatenava un acquazzone di fine estate. Sull’autobus c’erano quasi solo persone immigrate, quasi tutte donne, quasi tutte sudamericane ed è come aver ritrovato di nuovi vivi i volti che avevamo visto in fotografia.

La magia dell’arte è proprio questa, tenere in vita, riproporre le vite, i volti, le parole di chi è stato e anche di chi è solo stato sognato. E sono i nostri occhi a guardare e le nostre orecchie ad ascoltare.

 

Oggi è giovedì 16 settembre del secondo anno senza Carnevale, e questa Cronaca 557 sta camminando per il Messico degli anni Trenta.

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