venerdì 10 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/551. Ho sempre creduto solo nei colpi di fulmine, amore o amicizia è la stessa cosa

 



“Ci sono incontri che segnano una svolta nel corso della nostra vita. Quasi sempre si tratta di un nuovo amore o di un nuovo amico. Io ho sempre creduto ai colpi di fulmine, sia in amicizia che in amore, per me è sempre stato l’unico modo di iniziare una relazione. Per questo mi stupisco ancora oggi di come iniziò la mia amicizia con Octavio, uno dei più grandi poeti e scrittori che la nostra lingua abbia mai avuto. Lui era parecchio più grande di me, era noto per essere un uomo affabile ma riservato, che era stato sposato tre volte e altrettante volte aveva divorziato. Gli si attribuivano amori con le attrici più belle del paese, era un grande appassionato di cinema, in un’epoca in cui le donne si dipingevano le labbra di rosso e portavano corsetti che facevano esplodere i loro seni in invitanti decolleté. Usavano gonne lunghe al polpaccio, a forma di tulipano o di rosa, gonne dritte e strette con un piccolo spacco laterale o posteriore, giacchine con le maniche a tre quarti, lunghi guanti di pelle di capretto, cappelli dalle più svariate fogge, borsette tenute al braccio. Fu l’ultima epoca di vera eleganza nel mondo occidentale, e non lo dico perché quella fu anche l’epoca della mia giovinezza. Don Ottavio era nato all’inizio del secolo e aveva fatto in tempo a sognare le belle gambe delle donne ancora nascoste da abiti lunghi sino alle caviglie. Ma gli anni Quaranta e Cinquanta, quelli dell’esplosione della sua notorietà a livello planetario, furono anche gli anni in cui la vecchia Europa si suicidò e la giovane America andò in suo soccorso. Per le terre meridionali del continente le cose furono molto più complicate, l’ambiguità che apparteneva forse al carattere di molteplici nazioni, fece sì che dopo la guerra centinaia e centinaia di gerarchi nazisti trovassero rifugio sicuro in America latina. Octavio, che negli anni Quaranta viveva a Los Angeles dove lavorava come sceneggiatore, pur non essendo più un giovanotto, diede il suo contributo nella lotta contro il nazismo. Grazie alla sua rete di conoscenze e amicizie sparse in tutto il globo, riusciva sempre a venire a sapere storie in cui la sua mente fervida e romanzesca trovava nessi che nessun altro sarebbe stato in grado di notare. Molte delle informazioni che consegnava al governo americano, fecero di lui un eroe di guerra che ricevette le giuste onorificenze a guerra finita. Grande viaggiatore, conosceva forse meglio l’Europa del suo stesso continente. Parlava correntemente inglese, francese, tedesco e portoghese, oltre allo spagnolo, e questo avrebbe fatto di lui sia un ottimo diplomatico che una grande spia. Preferì diventare una spia e continuò a farlo anche durante la caccia alle streghe del maccartismo. Ma in senso contrario, perché passava informazioni a scrittori, registi, attori e sceneggiatori quando veniva a sapere che stavano per essere indagati o arrestati. Il governo si fidava di lui e a nessuno venne in mente che un uomo della sua levatura, potesse diventare amico degli intellettuali comunisti tanto temuti. Il suo comportamento non venne scoperto se non negli anni Ottanta, quando ormai anziano decise di scrivere la propria autobiografia in forma di romanzo. Forse fu proprio quell’ultima opera a far scattare negli svedesi la decisione di attribuirgli il Nobel per la letteratura. Di certo lui si divertiva moltissimo a stupire e scandalizzare i suoi contemporanei con rivelazioni sulla sua vita che lo resero famoso tra il grande pubblico, quasi più dei suoi stessi romanzi. Lui amava la giovane America, le perdonò anche gli anni bui del maccartismo perché – mi disse una volta – gli americani avevano bisogno di avere un nemico comune da combattere per poter funzionare come nazione, avendo una storia e tradizioni troppo recenti per potersi affidare a un mito condiviso. E il sacrificio di centinaia di migliaia di giovanissimi soldati poco più che ventenni era qualcosa che lui non avrebbe mai dimenticato fino alle fine dei suoi giorni. Fu così che la prima volta che ci incontrammo e io lo riconobbi subito, non riuscii a proferire una parola. Ma fu lui a invitarmi al tavolo vista mare dove stava sorseggiando un cognac e fumando un Avana dal raro aroma”.

 

Come immaginavo, Lucente e Adelina, che veneravano don Octavio come scrittore e come uomo - ho dimenticato di dirvi che era anche un uomo di bellezza virile, un Cary Grant sudamericano, ma ancora più intenso e magnifico, alto all’incirca un metro e ottantacinque, con mani forti ed eleganti, un sorriso che incantava e la voce più profonda e carezzevole che mai avreste potuto sentire – le mie due amiche, dunque volevano sapere tutto della nostra amicizia il cui racconto non avevo ancora avuto il coraggio di mettere per iscritto. Forse raccontarlo prima a loro, ora che don Octavio era morto da tempo, mi avrebbe aiutato.

La cena era stata ottima e mi venne voglia di fumare un Avana e di bere cognac francese. Ma mi accontentati di quel che mi portò il padrone del ristorante. Dalla terrazza dove avevamo cenato, c’era una vista magnifica sulla vallata, e le luci delle case iniziavano a costellare le colline. L’aria era tiepida, la compagnia di prim’ordine, potevo ricominciare il mio racconto.

 

Questa Cronaca 551 di venerdì 10 settembre del secondo anno senza Carnevale è sempre sulle tracce del mio Mutis apocrifo e del suo amico Octavio, forse il poeta Paz? Chi lo sa, ancora Alvaro non me lo ha detto.

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