giovedì 9 settembre 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/550. Si viaggia per viaggiare, non per arrivare

 



“Il viaggio era finito, o forse era appena iniziato. Ero arrivato nella città d’acqua, ma cogliendola alle spalle, ero sceso in autobus giù dalla cordigliera, dove ogni strada era poco più di una mulattiera, a ogni curva avevamo rischiato di scivolare in un burrone, solo l’autista non si era mai dato pena a continuava a masticare foglie rosse e a sputarle in una sputacchiera che doveva avere visto l’alba del nuovo secolo. Fui tra i primi a scendere, fu facile recuperare la mia vecchi valigia di cuoio, mentre lo zaino e il tascapane, colmo dei miei taccuini, lo avevo tenuto sempre a tracolla. Insieme ai miei scritti c’erano il passaporto, qualche spicciolo, una scorta di matite Palomino e un temperamatite, un mazzo di chiavi che aprivano le porte di tutte le case dove avevo vissuto e che mi piaceva ricordare. Quante ne avevo conservate? Mi ripromisi di contarle una volta arrivato in albergo e decisi che, finalmente avrei scritto la storia di ogni chiave. Ero ancora molto giovane quando arrivai a Estrella do Mar, ne avevo sentito parlare così a lungo che voleva vederla e fermarmi qualche tempo per vedere se riuscivo a scrivere il romanzo che avevo in testa. All’epoca credevo ancora che la buona riuscita di un romanzo dipendesse dai luoghi che visitavo e dai luoghi dove avrei scritto. Niente di più sbagliato, non erano i luoghi reali a essere importanti. Non erano neanche i luoghi ricordati, lo scarto davvero importante era quello dell’immaginazione. Quel luogo marinaro e non ancora del tutto balneare, poteva anche esistere solo nella mia testa e da nessun altra parte. Era quel che sarebbe uscito nella pagina ad avere valore, e nient’altro. La piazza degli autobus era proprio nel cuore della città, da lì ci si poteva spostare senza problemi seguendo una delle avenidas, niente di monumentale com’ero abituato a vedere nella mia città natale, che si diramavano come i raggi di una ruota di bicicletta ed erano intersecate dalle calle che dividevano il quartiere in rioni e borghi. Volevo stare il più possibile vicino al mare, così mi incamminai per Avenida de El cangrejo cansado. Faceva caldo, ma il vento marino rinfrescava subito il sudore, mi fermai a un chioschetto a prendere una limonata e a guardarmi intorno. Era già pieno di gente in vacanza che bighellonava come me, anche se io ero lì per uno scopo ben preciso e nobile: sarei diventato un grande scrittore un giorno, sarei stato onorato da tutto il mondo, mi avrebbero invitato anche in Europa e un giorno, prima che i miei capelli fossero diventati completamente bianchi, mi avrebbero conferito il premio Nobel per la Letteratura. Al solo pensiero fremevo di orgoglio e mi stupisco oggi, che i capelli li ho bianchi e il Nobel hanno preferito assegnarlo a guitti e strimpellatori, mi fanno sorridere le ingenue ambizioni del ragazzo che sono stato. Ancora non avevo imparato che non è la mèta a dare valore al cammino, ma è vero l’esatto contrario. È la strada che conta e non l’arrivo, Kavafis lo aveva già scritto meglio di quanto io non lo avessi pensato, ma nella mia ignoranza poetica non avrei letto quella poesia che molti anni più avanti. Pur immaginandomi come uno scrittore avventuroso, aveva chiamato l’albergo per prenotare una stanza con vista mare per un intero mese. Avevo trovato il depliant della Posada de El cangrejo descansado, in una bettola portoghese che era intitolata a Miranda do Douro, un paesello che avrei poi visitato quando mi tradussero in portoghese. Mi era sembrato un segno del destino e così ero tornato nella pensioncina che era diventata il sacrario della mia scrittura. Dissi a donna Alexandra che mi sarei assentato per un mese, le pagai due mesi di pigione anticipata e andai a fare qualche compera prima di partire. Non era da me avere tutti quei soldi in tasca, ma la fortuna mi aveva sorriso quando avevo comprato un biglietto del lotto e avevo vinto una cifra tale da permettermi almeno un anno di vita morigerata senza dovermi preoccupare di arrabattarmi a scrivere qualunque testo per mangiare e pagarmi l’alloggio. Quel che non potevo neanche immaginare, quando presi possesso della camera con vista mare, e che pagai in anticipo per essere sicuro che i proprietari mi avrebbero trattato con rispetto e le cameriere con solerzia, era come la mia carriera di scrittore avrebbe avuto una svolta. Dopo avere sistemato i bagagli chiesi consiglio su un buon posto per cenare e loro furono ben lieti di prenotarmi un ottimo tavolo alla taberna de El cangrejo saciada. E di granchi cucinati in svariati modi mi saziai quella sera, in insalata di mare, poi cotti in una terracotta col riso e il pomodoro. Ma volli finire con un’aragosta grigliata perché ne avevo viste di belle grosse nella vasca all’ingresso del locale. Fu proprio lì che posso affermare sia iniziata la mia vera vita da scrittore”.

Alvaro, cioè io, interruppe il racconto proprio sul bello e Lucente e Adelina non riuscirono a convincerlo in nessun modo a continuare. Avevo fame e lo proclamai a gran voce, di sicuro con la pancia piena avrei raccontato meglio. Così le mie due anziane amiche si rassegnarono a portarmi alla locanda perché potessi sfamarmi. Poi ricominciai il racconto, ma non è questo il momento di scrivere per voi cosa mi accadde.

Anche in questa Cronaca 550 di giovedì 9 settembre del secondo anno senza Carnevale, siamo rimasti in compagnia del mio Mutis apocrifo. Per inciso: oggi è un anno e mezzo preciso che scrivo le Cronache, dovrò forse festeggiare?

Nessun commento: