I poeti non vanno in vacanza
Quest’anno ho deciso di fare come tutti: mi prenderò delle vacanze. Ho chiuso il mio quaderno d’appunti, deposto la penna, spento il computer, sistemandolo in un angolo dello studio. Ho rimesso al loro posto anche i dizionari e i classici che utilizzo come fonti. È ora di vacanze, di tempo libero, di un po’ di pigrizia e di una siesta sotto un bell'albero della Toscana o della Normandia. Sono pronto. Le vacanze devono solo iniziare. Le accoglierò a braccia aperte. Sono qui e aspetto. Respiro profondamente. Guardo il cielo. È azzurro. Non fa né caldo né freddo. Temperatura ideale. La mia famiglia è contenta.
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Sarebbe bello, ma ecco, non ci riesco.
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sento che il personaggio principale del romanzo che stavo scrivendo mi aspetta, mi chiama e mi chiede di tornare al mio tavolo di lavoro. La notte mi perseguita. Penso a lui e agli altri personaggi. Sono tutti lì a tirarmi per la manica della mia camicia bianca. L’estate per loro non esiste, tanto più che la storia si svolge fra le nevi di un paese immaginario. La mia mente è preoccupata. Guardo il mio studio. Vedo il quaderno su cui prendo i miei appunti muoversi come fosse animato da uno dei suoi personaggi; anche la mia bella penna nera si muove. Bisogna che torni a lavorare.
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No, uno scrittore non può prendersi delle vacanze. Impossibile, perché uno scrittore è un eterno osservatore, uno scrutatore, un ricercatore, una persona che, come dice Balzac, scava nella società. Non può smettere di scavare, di decifrare, di raccontare, di denunciare e di arrabbiarsi.
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Un poeta non può smettere di avere uno sguardo da poeta. La poesia non è un mestiere che si esercita a orari fissi. Se no, non è più poesia. È burocrazia.
Un artista non chiude i suoi occhi sul mondo. È continuamente chiamato dalla luce, dai colori della vita. Lo stesso vale per un filosofo. Pensa sempre. Il giorno in cui smettesse, avrebbe preso l’Alzheimer.
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La poesia non aspetta. È un’urgenza. Al ritorno, in aereo, ero accanto a lui, si è addormentato. Mi sono detto: non è il poeta che riposa, è il corpo del poeta che non ne può più di essere vigile.
I poeti non dormono mai. Il loro corpo gli sfugge e si lascia irretire dal sonno. Ma anche mentre dormono, forse il loro inconscio continua a lavorare, ad accumulare immagini e a preparare la poesia successiva.
Niente vacanze. Tanto meglio. Vuol dire che sono ancora vivo.
Tahar Ben Jelloun
l'articolo completo, pubblicato il 10 marzo, è disponibile sul sito della Stampa
(traduzione di Anna Maria Lorusso)
1 commento:
Bella dichiarazione di fedeltà.
Sì, l'ate prevarica certi schemi imposti dal bel-pensare, dalla società, da dettami economici e politici.
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