domenica 9 marzo 2014

Scrivere è non usare mai una parola in più del dovuto

È nella natura di molti uomini sfuggire le responsabilità. Lo cantava anche lei: uomini sempre poco allineati, li puoi chiamare ai numeri di ieri se nella notte non li avranno cambiati.
«In effetti il libro assomiglia molto a quella canzone. Sono scappato per anni anch'io».

Da che cosa?
«Da tutto: sentimenti, responsabilità, amore».

Il lavoro, qualsiasi lavoro, può essere un alibi perfetto.
«Lo è. Ma solo fino a quando pensi di non avere abbastanza tempo per occuparti di entrambe le cose».

E lei lo pensava?
«L'ho pensato per vent'anni, poi ho iniziato a capire che abbiamo tempo, c'è tempo per tutto. Ma bisogna capirlo prima di diventare degli assenti perenni».

Assenti per chi?
«Per gli altri. Che cosa puoi raccontare agli altri se ti sei chiuso in un mondo in cui la vita vera non entra mai? Un mondo solo di ego e di gente che parla di se stessa? Ripeto, mi annoierebbe a morte parlare di me, il libro non parla di me».

La letteratura dovrebbe parlare in modo universale raccontando nel modo migliore possibile una questione evidente per tutti. È d'accordo?
«Sono più che d'accordo. Prendiamo il maestro della sintesi: Simenon. L'ho letto quasi tutto. Non c'è mai una parola in più del dovuto, eppure si ha l'impressione dopo aver letto 100 pagine di averne lette 300. È un condensato, è l'uomo più meravigliosamente sintetico e completo che io conosca».

Racchiudere un'idea in poche parole è una questione che lei dovrebbe conoscere bene.
«Ci ho combattuto una vita limando le strofe delle canzoni. Meno parole possibili per dire una cosa il più esattamente possibile. Il mio ideale sarebbe stato scrivere delle canzoni come degli haiku. Pensi che meraviglia: la sintesi assoluta più la sincerità assoluta degli intenti».

C'è riuscito spesso. «Quello che faccio è cercare il tuo amore fino nel cuore delle montagne». Un haiku, quasi un salmo. 
«Non lo avevo pensato in quei termini ma in effetti è un'interpretazione».


frammenti dell'intervista su Repubblica del 4 marzo 2014 di Dario Olivero a Ivano Fossati in occasione dell'uscita del suo primo romanzo

Tretrecinque
Einaudi 2014

1 commento:

Unknown ha detto...

Non voglio perderlo.
La sinteticità è un'arte, preziosa e rara.
Grazie per la segnalazione.