Non volevo nomi per morti sconosciuti
eppure volevo che esistessero
volevo che una lingua anonima
– la mia –
parlasse di molte morti anonime.
Ciò che chiamiamo pace
ha solo il breve sollievo della tregua.
Se nome è anche raggiungere se stessi
nessuno di questi morti ha raggiunto il suo destino.
Non ci sono che luoghi, quelli di un’isola
da cui scrutare il Continente
– l’oriente – le sue guerre
la polvere che gettano a confondere
il verdetto: noi non siamo salvi
noi non salviamo
se non con un coraggio obliquo
con un gesto
di minima luce.
Considero Antonella Anedda una delle voci poetiche più
significative del secondo dopo guerra e il suo libro Notti di pace occidentale (Donzelli, 1999) è quello che più amo.
Mentre rileggo gli appunti che ho preso negli anni intorno a questa poetessa,
noto che ho usato in modo automatico “secondo dopo guerra”, proprio come se
scandire il tempo tra guerra e pace fosse in qualche modo normale. La mente
umana ama esprimersi per diadi, coppie e binomi: guerra e pace; bianco e nero;
vittime e carnefici; sole e luna; giorno e notte; proprio come se i forti
contrasti contenessero l’unica verità plausibile e gli spazi intermedi, le
sfumature tra i due estremi fossero poco interessanti o poco contassero.
Notti di pace occidentale è stato scritto tra il 1993 e
il 1999 e raccoglie 48 poesie raggruppate in cinque sezioni. La prima sezione,
quella eponima, è stata ispirata dalle guerre di fine Novecento, a partire
dalla guerra del Golfo del 1991 sino alla dissoluzione della Jugoslavia e alla
guerra del Kosovo. Tutto il libro di Anedda è un lungo brivido che evoca la
solitudine del poeta che si rispecchia nella solitudine dei morti sconosciuti
le cui immagini ci sfiorano da Internet, dalla televisione, dai giornali, oggi
ancor più di allora.
“Ciò che chiamiamo pace / ha solo il breve sollievo della
tregua”, scrive Anedda e rileggendo questi versi di potenza per me inaudita, i
brevi decenni di pace nel territorio europeo, dopo la fine della Seconda Guerra
Mondiale, sono diventati un intermezzo felice in un mondo la cui storia è
storie di guerre, sconfitte e vittorie, come se non ci fossero altre plausibili
possibilità di esistere se non diventando vittima o carnefice. “Noi non siamo
salvi”, scrive ancora la poetessa, non lo eravamo neanche durante gli anni di
una pace illusoria dove non ci sono stati eserciti e battaglie a insanguinare
la terra d’Europa, ma dove le logiche spietate e implacabili del Potere si sono
comunque manifestate attraverso le regole dell’economia e ancor più della
finanza globalizzate. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina lo scorso 24
febbraio, mi chiedo perché questa guerra in particolare mi abbia colpito in
maniera così profonda. Anche le altre guerre citate portarono sconvolgimenti
emotivi nelle nostre vite a suo tempo, così come le guerre infinite che si
combattono in ogni luogo della terra, ma perché proprio questa guerra ha avuto
questo impatto così forte anche a livello di immaginario? Provo ad azzardare
qualche spiegazione, con tutti i limiti di un punto di vista individuale di una
donna di età ormai matura che appartiene alla generazione privilegiata dei baby
boomers. Noi nati dopo il 1945 abbiamo ascoltato racconti di prima mano di chi
la guerra l’aveva vissuta e subita. Racconti che possiamo ascoltare ancora
dalla voce degli ottuagenari che all’epoca erano solo bambini. La Russia, che
allora apparteneva all’Unione Sovietica, faceva parte della schiera dei buoni,
di quelli che avevano contribuito a sconfiggere Hitler e il Nazismo, cioè
l’incarnazione del Male Assoluto nella Storia. Uso volutamente tutte le
maiuscole in questa frase perché anche quella guerra è stata qualcosa di
assoluto, un momento che avrebbe dovuto sancire l’inizio di un’epoca definitiva
di ragione e prosperità, come in parte è stato. Ma seguendo la logica binaria
che tanto amiamo, i buoni si divisero in due blocchi antitetici che si sono
schierati sui due lati d’Europa e sfidati, minacciati durante i lunghi anni della
Guerra Fredda, la guerra non combattuta anche se, nei fatti, dichiarata, tra il
mondo sovietico e quello occidentale protetto di nuovo dagli Stati Uniti e
dalla Nato. Io non riesco a dimenticare tutti i giovani che sono caduti nelle
guerre di tutti i tempi e ci penso ancora di più oggi che giovane non sono più.
Ricordo lo sgomento e il dolore che provai quando andai a visitare per la prima
volta Omaha e Utah Beach, le spiagge dello sbarco degli Alleati in Normandia.
Ricordo la distesa infinita e semplice delle croci e delle stelle di Davide
bianche su un’altura che si affaccia proprio su Omaha, le lapidi sono 9.387.
Anche vicino a noi c’è un piccolo cimitero di guerra dove riposano i 417 caduti
delle nazioni del Commonwealth che contribuirono alla liberazione di Milano, la
nostra città che si è salvata dall’annientamento totale solo perché gli inglesi
della RAF, capitanati dal comandante in capo Arthur Travers Harris,
soprannominato Bomber Harris, decisero all’ultimo momento di andare a
bombardare Dresda il 13 e 14 febbraio del 1945. La città venne rasa al suolo,
le vittime furono all’incirca 235 mila e la Germania nazista subì un colpo
fatale. Ma oggi è la Russia, in questa nuova guerra d’Ucraina, a essere il
Paese aggressore, è come se il mondo si fosse rovesciato. E noi cittadini del
quieto Occidente assistiamo impotenti a quanto accade. Impotenti e consapevoli,
quasi all’improvviso, della fragilità di questo mondo globalizzato dove
dipendiamo per il gas dalla Russia e per il grano dall’Ucraina. Difficile
prevedere oggi cosa accadrà nei prossimi mesi e come e quando la guerra finirà.
Potrebbe finire malissimo, con un conflitto nucleare? Purtroppo sì, la tremenda
verità è questa. Ma cosa possiamo fare noi qui e ora? Poco, molto poco,
possiamo cercare quei gesti di minima luce che Anedda evoca alla fine della
poesia, possiamo continuare a vivere le nostre vite come meglio riusciamo, non
farci sconfiggere dalla paura e dall’angoscia, continuare a vivere, studiare,
lavorare e scrivere dando il nostro contributo quotidiano al benessere della
nostra comunità di prossimità, perché è anche dai piccoli gesti e dal loro
valore che il nostro contributo si allarga a macchia d’olio, consapevoli che il
Male è insito nello spirito di noi umani e che il Bene è la lotta quotidiana
che ciascuno di noi deve compiere, l’unica guerra accettabile da cui è
impossibile prescindere.
All’inizio della sesta poesia del libro di Anedda
leggiamo questi versi:
Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra
ma guerra – in un tempo assetato.
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.
Non esiste innocenza nella lingua che usiamo, in quello
che accade, ma esiste una forza che nasce dalla volontà di fare il bene comune,
di costruire la pace, di sottrarre il futuro delle giovani generazioni alle
logiche della guerra e alla sua devastazione. Con l’invasione dell’Ucraina,
Putin si è avventato sul Ventunesimo Secolo come uno zombie sfuggito dal
Ventesimo, da un’epoca che credevamo estinta, quella in cui i giovani vanno a
morire in guerre comandate dai vecchi. Una sera recente in giugno, la mia amica
Rossana, russa moscovita per parte di madre, mi ha raccontato di questa cugina
con cui non è più in contatto, e che ha sposato un uomo ucraino. I due hanno
una fattoria dove allevano mucche e i due figli maschi, ancora molto giovani,
vivono, o meglio vivevano, uno a Kiev e uno a Mosca, rischiano cioè di trovarsi
schierati a combattere l’uno contro l’altro. Come fermiamo la guerra allora?
Continuando a credere nella forza della pace e della ragione, con l’unico mezzo
non guerresco per trovare una mediazione accettabile, cioè la politica. E
continuando a leggere e scrivere, poesia prima di tutto, ma anche narrativa e
saggi, perché i libri, la parola scritta, ci aiutano a entrare in sintonia con
gli altri da noi, a provare empatia, pietà e amore, anche per tutti quei nomi
sconosciuti che tali resteranno.
Oggi è giovedì 2 giugno 2022 festa della Repubblica
Italiana, terzo anno senza Carnevale e primo anno di guerra. Questa Cronaca 816
festeggia la nostra Repubblica e piange per questa guerra.
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