L'amico Foster pronunciò alla morte dell' amata Virginia l'elogio più semplice e toccante: non c' è scrittore al mondo, disse, che più di Virginia Woolf abbia amato scrivere. Scrivere, tenere una penna in mano, stare appollaiata nello scantinato di Tavistock Square, o nella capanna in fondo al giardino di Rodmell, toccare e ritoccare una frase, ritornare ogni giorno al diario... queste le piccole voluttà della succulenta dieta quotidiana di Virginia, la cui vita è un calendario perfettamente ritmato di ore diverse, ognuna assegnata a una differente scrittura: il romanzo, il diario, la lettera, il saggio, la recensione, la biografia, la parodia - calendario interrotto, dieta condita dalle passeggiate soprattutto pomeridiane per la città di Londra... Perché a una cert'ora, tra il tè e la cena, specie d'inverno, le prende una smania che il cuor volge al desio dell'aperto, e Virginia Woolf abbandona la posa accovacciata dello scrittore e veleggia in strada con l'andamento ondeggiante della flâneuse. In quell'ora crepuscolare in cui l' anima melanconica piega alla nostalgia di chissà quale impossibile ritorno, l'écrivain metamorfosa in flâneur e s'avventura all' aperto - capace, dichiara, per un quaderno, per una matita di attraversare tutta Londra. Sì Virginia Woolf cammina per scrivere, per scrivere si espone all' avventura della città, si immerge nelle sue onde, si abbandona al suo moto, si butta, insomma, nell'"affollata danza della vita moderna".
Nadia Fusini
incipit dell'articolo apparso su Repubblica del 7 agosto 1998
2 settimane fa
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