lunedì 10 giugno 2013

Scrivere con forza e ispirazione

Il romanzo I Fratelli Karamazov è l’ultima opera di Dostoevskij. Doveva essere il primo di una serie. Dostoevskij aveva allora cinquantanove anni; egli scriveva «Constato spesso con dolore che non ho espresso, letteralmente, la ventesima parte di quello che avrei voluto, e, forse anche, potuto esprimere. Quello che mi salva è la speranza abituale che un giorno Dio mi manderà tanta forza e ispirazione, che mi esprimerò più completamente: in breve, che potrò esporre tutto quello che racchiudo nel mio cuore e nella mia fantasia».
Era uno di quei rari geni che avanzano, d’opera in opera, per una sorta di progressione continua, fino a che la morte non li venga bruscamente a interrompere. Nessun ripiegamento in quella sua focosa vecchiaia, non più che in quella di Rembrandt o di Beethoven, al quale mi piace paragonarlo: un sicuro e violento approfondirsi del suo pensiero.
Senza alcuna compiacenza verso di sé, continuamente insoddisfatto, esigente fino all’impossibile, - e tuttavia pienamente cosciente del suo valore, - prima di abbordare i Karamazov un segreto trasalimento di gioia l’avverte: possiede, finalmente, un soggetto della sua statura, della statura del suo genio. «Mi è raramente capitato», scrive, «di aver da dire qualcosa di più nuovo, di più completo e originale». E questo libro fu quello che accompagnò Tolstoj sul suo letto di morte.


André Gide
Dostoevskij
Medusa 2013
anticipazione su Repubblica di oggi

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