mercoledì 19 giugno 2013

Come una fiamma, come un arcobaleno: scrivere in compagnia di un altro libro

Il 14 luglio 1920 Thomas Mann annotava sul suo diario: «È arrivata la Biologia generale di Hertwig». Si trattava di un popolare manuale pubblicato nel 1906 dal biologo Oscar Hertwig, nel quale si identificava per la prima volta il Dna come il portatore dell' informazione genetica (un' intuizione poi confermata sperimentalmente nel 1943 da Oswald Avery). L'8 agosto Mann si proponeva coraggiosamente: «Leggere la Biologia generale di Hertwig». E il 30 settembre annunciava: «Terminato ieri il capitolo biologico». Il capitolo in questione era Indagini, e appartiene alla Quinta Parte della monumentale opera che lo scrittore stava componendo in quegli anni, La montagna incantata (ora ritradotta nei Meridiani Mondadori alla lettera come Montagna magica ), che lo occupò dal 1913 al 1924. Come lui stesso raccontò il 18 maggio 1939 all'Università di Princeton, l'ispirazione per il romanzo gli era venuta da un fatto accidentale: nel 1912 sua moglie era stata ricoverata per sei mesi nel sanatorio svizzero di Davos, e durante una visita di tre settimane che le aveva fatto, Mann si era preso un banale raffreddore. Il primario gli "diagnosticò" immediatamente un'infezione polmonare, prescrivendogli un immediato ricovero di sei mesi, ma egli scappò a gambe levate. E invece di sottoporsi a tempo indefinito a una cura per una malattia inesistente, preferì utilizzare le impressioni ricevute in quelle tre settimane per scrivere La montagna incantata. Con questo romanzo bisogna esser disposti a lasciarsi trascinare come fuscelli da un impetuoso fiume di parole, i cui meandri si addentrano nei melmosi terreni della divagazione. 
(...)
Mann organizza il suo discorso biologico attraverso i pensieri del giovane Hans Castorp, protagonista del libro e prigioniero dell'incantesimo della montagna di Davos. Anch'egli ci va per una visita di tre settimane a un parente ricoverato, e rimane invischiato per sette anni come un insetto nella tela che il primario gli tesse attorno, riuscendo con lui nella finzione dove aveva fallito con Mann nella realtà. E come lo scrittore, anche il suo personaggio legge testi di biologia, ponendosi domande più grandi della sua capacità di comprensione delle risposte (pur essendo, a differenza di Mann, un ingegnere e non un letterato). La domanda da un milione di marchi è ovviamente quella che si pongono tutti coloro che adorano il dio delle generalità, ed esorcizzano il diavolo dei dettagli. «Che cos' è la vita?», ripete dunque Castorp per tre volte, agli inizi del suo monologo interiore, e si dà tre risposte diverse. La prima collega la vita a una «coscienza di sé», che è «semplicemente una funzione della materia ordinata in modo che possa vivere». La seconda la ritrova «nella generazione spontanea, cioè nell' origine dell'organico dall' inorganico», che altro non è se non «un miracolo». La terza la situa nel «prodotto calorico di una sostanza sostenitrice di forme», descrivendola come «l'essere del non poter essere», «un fenomeno non materiale su base materiale, come l'arcobaleno sopra la cascata e come la fiamma». 

Frammenti dell'articolo che Piergiorgio Odifreddi ha dedicato a Thomas Mann acuto lettore di Oscar Hertwig
Repubblica giovedì 10 dicembre 2010

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