Immaginate una stanza affollata - l' aria viziata, stagnante. Tra i presenti uno va alla finestra. Bene, pensate: la aprirà. Invece la sfonda. Ecco: per Virginia Woolf quello è Joyce. Per lui bisognava scuotere le fondamenta per rinnovare la fabbrica narrativa. Alcuni pilastri, però, li lascia intatti: la triade di Padre, Figlio, Madre - la più antica cellula del mito, della religione, della società. Della letteratura. Ma poiché per Joyce la letteratura si rinnova a punti crociati di tradizione e tradimento, le alterazioni contano: il padre Ulisse è un ebreo di erranza stanziale. Il figlio Telemaco è un intellettuale riottoso incatenato al labirinto in terra d' Irlanda; la Grande Madre Molly, più che una Mater Matura che apra all Aurora, è Afrodite sulla via del tramonto. Di questa cellula germinale - Joyce docet - la letteratura non può fare a meno; soprattutto della Grande madre - umida, acquatica. Come lui di Nora Barnacle: moglie e madre. E' con Nora - il 16 giugno 1904 - a Dublino che concepisce per sé la vita nuova. Sempre con Nora si ingravida di se stesso e nasce scrittore in esilio, che brucia in olocausto le inerti escrescenze di un genere stanco - il romanzo. E lo riporta ad abbeverarsi alla sua origine epica.
Nadia Fusini
Repubblica 16 giugno 2004
2 settimane fa
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