mercoledì 5 giugno 2013

La frase si ritirava verso il suo segreto


E così, vicino alla fine, in fondo all'ultima pagine, è come se tu, con quelle parole, mettessi la tua firma: "Vi è la cenere". Leggevo, rileggevo; era così semplice ma capivo benissimo che non c'ero per nulla: senza attendere me, la frase si ritirava verso il suo segreto.

Tanto più che quella parola, là, non era là per essere udita. Mentre mi limitavo ad ascoltarla, con gli occhi chiusi, mi piaceva lasciarmi andare a mormorare la cenere, confondendo quel là, appunto, col femminile singolare dell'articolo determinativo. Dovevo decifrare senza perdere l'equilibrio, in bilico tra l'occhio e l'orecchio: non sono sicura di essere riuscita a trovare, là, un punto di arresto.

Per parte mia, avevo dapprima immaginato che cenere fosse là, non qua, ma là, come una storia da dipanare: la cenere, questa vecchia parola grigia, questo tema polveroso dell'umanità, immagine immemoriale che si era disfatta da sola, metafora o metonimia di se stessa. È questo il destino di ogni cenere, cenere separata, consumata, come cenere di cenere. Chi mai oserebbe affrontare ancora il poema della cenere? E quanto alla parola "cenere", mi piace immaginare che essa stessa sia davvero una cenere, nel senso di qualche cosa che fu, là, in fondo, lontanissima nel passato, memoria perduta per tutto ciò che non appartiene più al qui. Di conseguenza, la sua frase avrebbe inteso significare, senza più: la cenere non è più qui. Ma è mai stata qui?

Jacques Derrida
Ciò che resta del fuoco
traduzione di Stefano Agosti
Sansoni Editore 1984

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