sabato 24 luglio 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/503. Immagina una moltitudine di persone imprigionate fin dalla nascita in uno spazio di luce abbacinante


 


 Nel bizzarro clima milanese fatto di acquazzoni e vento fresco, oggi pomeriggio sono andata a vedere la mostra di Mario Sironi al Museo del Novecento. È una bella retrospettiva, molto ricca, con tante opere giovanili, i bozzetti per le grandi opere murali, molti autoritratti, e molti quadri appartenenti a collezioni private che difficilmente ci sarà occasione di rivedere.

Sironi è un artista geniale e monumentale come le sue opere. La storia della sua vita è in qualche modo la storia del primo Novecento italiano. Fascista dalla prima ora, nevrotico, futurista, illustratore, padre di due figlie di cui una suicida a soli 18 anni, salvato dalla fucilazione per mano dei partigiani verso la fine della guerra grazie, così ha raccontato il salvatore, ma ci sono altre versioni, a Gianni Rodari che lo aveva riconosciuto.

Fondatore con altri artisti del movimento Novecento, Sironi è diventato Sironi, senza più maestri, epigoni o compagni di strada. Ho visto questa mostra con i miei amici Grazia e Danilo, che di Sironi sa tutto e gli ha dedicato un’opera teatrale davvero bellissima: Il mito rovesciato. Sironi incontra le ombre, che in premessa recita “Fiaba drammatica in due atti e un atto finale”. Potrei continuare a elencare le emozioni che questo artista sa trasmettermi, la commozione, i paesaggi urbani che mi struggono perché rappresentano la Milano industriale che emerge dalle rovine di quella contadina. Però preferisco che siano le parole scritte da Danilo Bramati a introdurvi nell’universo sironiano.

 

(sul lato destro rispetto al pubblico c’è una foresta di alberi spogli in stile sironiano che occupa quasi metà palcoscenico e si perde fra le quinte. Al margine sono sparse pietre in stile sironiano. Su una pietra è seduto Sironi. Una ragazza bionda esce dalla foresta cantando questi versi di Michelangelo:

 

“Cosa mobil non è che sotto il sole

non vinca morte e cangi la fortuna...”.

 

poi rientra nella foresta. Dal lato opposto si fa avanti il Personaggio e va verso il proscenio)

 

Personaggio.

È quell’uomo laggiù. Brusco, scontroso, onesto. Non lusingò nessuno. Non si pentì di niente. La sua opera sfida il tempo. Non puntò mai alla felicità. (raggiunge Sironi e siede su una pietra)

 

SIRONI.

Immagina una moltitudine di persone imprigionate fin dalla nascita in uno spazio di luce abbacinante che violenta e percuote ogni angolo di mondo, ogni foglia sottile, ogni impronta lieve figurata nella sabbia, ogni pensiero appena accennato nei cuori e nelle menti. Immagina una miriade di sentieri allucinati da un sole a picco, percorsi in lungo e in largo da una marea di gente di ogni razza, età, e tutti quanti se ne vanno in giro brancolando e si portano le mani sulla fronte per dar sollievo agli occhi folgorati. Ai lati dei sentieri, innumerevoli muretti circondati da una gran folla, simili a quelli dove i burattinai fanno muovere i burattini, e le persone ci salgono sopra, ci improvvisano scene, si inventano delle storie, piangono, ridono, fanno amicizia e poi si tradiscono, si azzuffano e rifanno pace. Altri assistono allo spettacolo e aspettano il loro momento. Ma a dispetto di quelle farse nessuno può sfuggire alla luce devastante che infierisce sui corpi, nelle anime... ora immagina, alle spalle della gente, l’ingresso di una caverna, una voragine buia, profonda, nascosta da una gran massa arruffata di sterpi. Immagina che uno del pubblico – forse annoiato dalle recite, forse per via di un’intuizione improvvisa – giri la testa e veda! (si alza e si rivolge al pubblico) Incalzato dalla frenesia lui si lancia verso la caverna, si apre un varco fra le sterpaglie, trova l’entrata, è dentro! Dentro, in una notte elementare... (la luce cala lentamente) E non ha paura, la cecità non gli spezza il fiato mentre incespica nell’eco dei suoi passi fra sporgenze di calcare e tufo. (nel buio, sullo sfondo a sinistra, viene proiettato lo studio preparatorio per l’affresco l’Italia tra le arti e le scienze) ma all’improvviso, su quella parete laggiù, laggiù, fra spigoli di roccia, quelle figure che si affollano come ombre proiettate su un lenzuolo e si tingono di grigi, ocra, terre, bruni van dyck e grumi sanguinanti e spatolate azzurre come le vene che rigano i polsi... lui guarda stupefatto, si smarrisce in quell’evento misterioso, il tempo non scorre più mentre le ombre si fanno concrete, prendono corpo fra quelle tenebre, vengono, gli vogliono parlare, un enigma si scioglie lentamente e lui è sul punto di afferrarlo... (l’immagine sparisce. Si ode un crollo spaventoso. Il Personaggio fugge fuori scena. Fine del crollo) Sono il pittore Mario Sironi. Sono stato fascista e futurista. Futuristi e fascisti mi hanno coperto d’insulti. Sono esistito in bilico fra due mondi. Sono morto in una clinica milanese il tredici agosto del sessantuno. (Sironi entra nella foresta. Lo intravediamo fra gli alberi. Dal lato opposto irrompono i gemelli Fafù. Fa è vestito da squadrista e ha un manganello alla cintura, Fu indossa un abito futurista e sfoggia grandi baffi a manubrio. Dalla cintura gli pende un aggeggio bizzarro. Avanzano aggressivi)

 

All’uscita dalla mostra ho scattato la foto che vedete e poi è scoppiato un acquazzone e ci siamo salutati in fretta, in questo sabato 24 luglio del secondo anno senza Carnevale e in questa Cronaca 503 sironiana con gli occhi ancora pieni di bellezza e meraviglia.

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