venerdì 11 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/278: dove la città è cronaca del silenzio e delle luci

 


Oggi sono andata in ufficio, la metro era quasi vuota, tutti mascherati con gli occhi incollati agli smartphone.

Mi sono fermata a prendere la colazione da Starbucks, cappuccino medio e brioche, costa uno sproposito e a stento il mio palato è in grado di apprezzare la qualità del caffè. Ciò detto mi piace fermarmi in quel luogo gradevole dove un tempo c’era la sede delle Poste. Verso le otto, quando sono arrivata, non c’erano altri clienti in coda.

Sono uscita, ho attraversato la strada, ho incrociato persone che mi è già capitato di vedere in piazza Cordusio a quell’ora. Il tragitto verso il mio ufficio dura qualche minuto e mi beo sempre della bellezza dei vecchi palazzi e dei nomi delle strade.

Il lavoro mi ha tenuta impegnata fino a ora di pranzo, poi sono uscita e sono andata a prendermi una schiscetta – di questi tempi si dice take away – nel ristorantino Sette Cucina Urbana di via dell’Orso. Maurizio, il gestore, mi ha consigliato uno spezzatino di manzo con patate e carciofi, ed era veramente squisito, così l’ho chiamato per ringraziarlo del suggerimento. Altro lavoro, altri pensieri, qualche telefonata con le colleghe, il tempo vola tra quelle mura dove ormai passiamo così poco tempo.

Sono uscita poco dopo le diciotto e ho voluto percorrere la Galleria per guardare l’albero Swaroski e le luci appese alla Cupola. E in un angolo ho trovato il manipolo di anziani che dagli anni Sessanta stanno in Galleria e dintorni a parlare di calcio e di politica. Stasera parlavano di pandemia ed erano tutti preoccupati rispetto ai tempi del vaccino che vogliono fare il prima possibile.

Quando sono sbucata in piazza del Duomo, l’albero di Natale era verde e molto allegro, quanto amo quella piazza e la nostra cattedrale che saluto ogni volta in milanese e saluto pure la Madunina, due simboli eterni di Milano che continueranno a svettare, spero che sarà così, nei secoli, anche quando il 2020 sarà diventato un anno qualsiasi degli anni disastrosi dell’umanità intera.

La metro era di nuovo semi-vuota, mi sono seduta e mi sono messa a contare quanti smartphone attivi e quanti libri aperti. Stasera solo un libro sono riuscita a contare e tutti guardavano il loro smartphone. Non c’erano adolescenti scamiciati e vocianti, non c’erano anziani diretti verso non si sa dove, un tempo preferivano viaggiare il mattino presto con i lavoratori e gli studenti, ma adesso?

L’ho già scritto, ma quanto è forte la percezione che il Novecento sia davvero finito solo quest’anno con la pandemia e con la morte di tanti personaggi famosi. Non ultimo il nostro calciatore Paolo Rossi, che ci ha portato alla vittoria dei mondiali del 1982. Mi è capitato di parlarne con giovani colleghi tempo fa ed era come se gli avessi parlato dei due campionati vinti dalla Nazionale negli anni Trenta del secolo scorso.

In quanto tempo la cronaca diventa storia? In quanto tempo noi saremo note a margine di un libro che nessuno leggerà più? Non lo scrivo con amarezza, solo con la consapevolezza che il tempo passa ed è quel che deve fare.

Milano, la mia amata Milano, per me bellissima, ma su questo aggettivo mi accapiglio tutte le volte col mio amico poeta Danilo che, invece, non la sopporta.

Amo la scighera il mattino presto, i lampioni che si spengono dopo le otto, il buio che ci assale alle diciassette, il cielo che ci protegge dalle stelle, l’impoeticità dei viali di periferia.

Amo questa città che è cronaca di se stessa e che nella fretta, nel silenzio, nella paura, continua a sostenere questi suoi figli che molto spesso sono nati sotto altri cieli.

Io appartengo anche alle Puglie assolate, ai mandorli fioriti e agli ulivi, al Tavoliere infinito che si inchina sul mare. Così come appartengo alle pietre, ai campi di grano, alle colline e alle querce della Calabria.

Tre terre, tre cieli, tre dialetti e una lingua, forse per questo amo scrivere sia poesia che prosa, forse per questo mi sento sempre fuori luogo, ma non sotto questo cielo, non camminando nelle antiche vie del centro, dove milioni di passi di chi mi ha preceduto, si incrociano ai miei.

Questa è la Cronaca 278 e oggi è venerdì 11 dicembre del primo anno senza Carnevale. Questa pagina di diario va ad aggiungersi alle molte che l’hanno preceduta e Milano risplende, è tutta un albero di Natale che si accende e si spegne seguendo il filo dei nostri pensieri.

 


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