venerdì 4 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/271: cosa pensano i fiocchi di neve e cosa pensano i bambini che siamo o che siamo stati?

 


Cosa pensa la pioggia un attimo prima di cadere? Cosa pensa ogni singola goccia? Me lo chiedo da tanto, tantissimo tempo, da quando ho scoperto che tutte le cose, gli oggetti, le creature viventi, piante e animali, e quelle che pensiamo inanimate, come l’acqua e la pietra, tutte e tutti hanno sentimenti, pensieri e domande.

 

Come l’ho capito? Con una semplice filastrocca imparata a memoria per Natale quando avevo solo 7 anni:

 

Un fiocco di neve sì

morbido e lieve scendendo

pensava: “dove mai poserò?”

 

Ma stanco e sfinito la punta

rosata di un piccolo dito di

bimbo incontrò

 

Oh – disse il piccino – che

bel zuccherino e avido e

lieto il fiocco succhiò.

 

 

Si cade nella felicità della scoperta e si può svanire per la felicità di un’altra creatura come ha fatto il mio fiocco di neve, eternamente vivo in queste parole che, quando nevica, ripeto ogni volta.

E penso al Natale e ai bambini, penso ai bambini che non avranno il Natale quest’anno, penso a quelli più grandicelli che non hanno la scuola. Penso ai sacrifici immani che stiamo facendo tutti per cercare di contenere il contagio fino a che non ci sarà il vaccino o il virus sparirà da solo come accadde per la Spagnola cent’anni fa. Il pensiero dei bambini e dei ragazzi che stanno vivendo quest’anno anomalo non mi dà pace. Penso ai molti che stanno perdendo i nonni e a quelli della mia generazione che stanno perdendo i genitori. Sono ormai decine di migliaia le famiglie che hanno perso una persona cara a causa della pandemia.

Oggi non posso fare a meno di pensare che gli ottuagenari che stanno morendo, la maggior parte lo sono, erano bambini e ragazzini durante la Seconda Guerra Mondiale, hanno conosciuto i bombardamenti, la fame, la paura, l’esilio, lo sfollamento, la prigionia, l’internamento e ancora paura e dolore, sono rimasti orfani di almeno un genitore a decine e decine di migliaia.

Loro che stanno morendo sono quei ragazzi e ragazze che non hanno mai visto una scuola vera prima della fine della Guerra. Alcuni tra loro sono gli ultimi ad avere visto i nazisti invadere le città, sono gli ultimi ad essersi nascosti nei fienili e nelle soffitte.

Sono quei bambini e quei ragazzi che hanno combattuto come fossero adulti, sono stati quelli indottrinati e costretti a partecipare ai gruppi dei Balilla e della Gioventù hitleriana. Non hanno avuto scelta, come milioni e milioni prima di loro.

L’infanzia e l’adolescenza, ormai eterna, come li conosciamo sono una creazione della società borghese post-bellica e totalmente coinvolta nel boom economico.

Io, come tutti voi, vedo i disastri causati dalla pandemia a livello economico e sociale, vedo che gli svantaggiati lo saranno ancora di più.

Non mi piace che l’anno senza Carnevale sia diventato anche l’anno senza Natale e senza San Silvestro.

Ma credo che dobbiamo rispettare e piangere quei bambini e bambine degli anni Trenta che stanno morendo a centinaia ogni giorno.

E credo che dobbiamo rispettare e sostenere come possiamo i medici, gli infermieri e tutto il personale sanitario perché non stanno solo facendo il loro lavoro, che è una vocazione prima di tutto, ma stanno costruendo una diga a mani nude per cercare di fermare le onde impetuose e maligne del virus.

Possiamo resistere ancora qualche tempo? Possiamo non festeggiare Natale e San Silvestro? Io penso di sì e penso anche che la cosa migliore sia parlare con i bambini e con i giovani, perché capiscono molto, molto di più di quanto gli adulti non credano.

Fate uno sforzo di memoria, ricordatevi quando eravate voi i piccini, capivate cosa accadeva nel mondo degli adulti anche se loro non volevano farvelo capire, non è vero?

Cerco ogni giorno di capire cosa mi insegna questa pandemia, la prima vera prova generazionale che noi baby-boomer abbiamo dovuto affrontare, di certo ho imparato che niente va dato per scontato, che nella vita quotidiana ci sono gioie profonde che non hanno nulla a che fare con il possesso vuoto degli oggetti.

Noi umani amiamo gli oggetti perché ogni oggetto simboleggia qualcosa o qualcuno, perché con quella borsa o con quegli occhiali pensiamo di diventare una versione migliore di noi.

Quel che più forte di ogni altra cosa sto imparando, e non ho ancora finito, è che dobbiamo prenderci cura di chi esiste e deve diventare grande e al contempo di chi è stato bambino in quegli anni tremendi del Ventesimo secolo, ho imparato che dobbiamo prenderci cura della Terra e del paesaggio insieme alle vestigia dei secoli passati.

Possiamo resistere ancora senza abbracci? Sì, resteremo ancora nascosti nei fienili e nelle soffitte della nostra anima e al momento giusto una nuova Liberazione arriverà.

 Oggi è venerdì 4 dicembre dell’anno senza Carnevale, senza Natale e senza San Silvestro, ma tra poco sarà anche Hannukkah, la festa delle luci che festeggerò nel mio cuore, soprattutto con la mia amica Edith con la quale spesso non sono d’accordo ma che mi dà sempre ottimi spunti di riflessione.

La poesia del fiocco di neve si trova in rete con il verbo finale “leccò” anziché “succhiò” ma io preferisco affidarmi alla mia memoria, o meglio al cuore come dicono i francesi.

 P. S. Edith, Natale si scrive con la maiuscola!

 


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