giovedì 10 dicembre 2020

Cronache dall’anno senza Carnevale/277: dove la neve legge le nostre storie, una ragazza contempla le rose

 


Mi sono svegliata ed ero neve, caduta per tutta la lunga, lunga notte. Era strano guardare il mondo da quella nuova prospettiva.

Non avevo più la mia nuvola intorno ed essere sparpagliata fra tetti e campi, alberi e strade mi faceva girare un po’ la testa.

Poi mi sono calmata e ho iniziato ad apprezzare il leggero scricchiolio dei fiocchi che si stringevano forte l’un l’altro per non scongelare.

Mi è piaciuto sentire lo zampettio dei passeri che hanno disegnato sciami di stelle sulla mia superficie e i bambini che sono caduti, si sono rotolati e hanno giocato con delle palle di neve non troppo compatte perché volevano divertirsi, mica farsi male.

Avere abbandonato la nuvola è stata una gran bella idea, ma io non ricordo di averla mai avuta, perché ieri sera quando mi sono addormentata, io era una ragazza e non una nuvola.

Il vento sembrava avere capito che c’era qualcosa in me che non era tranquillo, così si è avvicinato e mi ha detto che a pochi essere umani capitava la fortuna di trasformarsi in qualcun altro e di ricordare allo stesso tempo la vita di prima.

“Per questo – mi disse – penso che la tua metamorfosi non durerà a lungo. Chi si trasforma per sempre dimentica chi era stato, né ci chiede perché fosse accaduto. Le rose soprattutto non chiedono mai del passato, sono così orgogliose della bellezza e del profumo che spandono intorno, meglio di così la loro vita non potrebbe essere!”.

Ringraziai il vento per le sue parole d’aria e luce, mi stupii anche di averlo capito perché fino al giorno prima sentivo solo folate, fischi e refoli, non parole alle mie orecchie.

Dai tetti potevo sbirciare nelle case e mi ricordai che amavo farlo anche il giorno prima e quello prima ancora.

Felice chi è felice – pensai – e non deve mettersi alla prova ogni giorno per sentire di più e meglio com’è l’essere vivi.

Forse era proprio per questo che mi ero risvegliata bianca e gelida, perché fino al giorno prima continuavo a lamentarmi tra me e me stessa che non succedeva mai niente di interessante.

Ora potevo vedere e ascoltare gesti e pensieri che la mia forma umana non poteva percepire.

Sotto di me i rami dell’albero ebbero un fremito e sentii la linfa scorrere più veloce.

Sebbene io fossi gelida e bianca, la mia coltre uniforme copriva e riscaldava tutto il paese intorno a me.

Ed era dolce quel silenzio, sicuro quel rifugio e le mie parole arrivavano alle altre creature portate sia dai raggi di luce che dalle folate capricciose del vento ancora autunnale.

La giornata è trascorsa leggendo le vite umane come se avessi aperto davanti a me un enorme libro dove tutte le storie erano già scritte un attimo dopo il loro compimento.

Non so per quanti giorni sarò neve, ma mi godo questo silenzio e il biancore ancora intatto, perché continuo a scendere dal cielo e ad aggrapparmi a ogni possibile appiglio, qui sulla terra.

Non sono stanca e vi dirò poi come sarà stata la notte e quante stelle, invidiose e gelide, si saranno affacciate dai loro balconi e poi saranno cadute per la troppo curiosità.

Questa è la Cronaca 277 di giovedì 10 dicembre dell’anno senza Carnevale e la poesia si adorna dei miei fiocchi e io dei suoi versi, uno scambio equo, non vi pare?


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