giovedì 23 maggio 2013

Scrivere, scrivere per imparare a scrivere

Un migliaio o due migliaia di parole tutti i giorni per i prossimi vent'anni.
All'inizio dovete puntare a un racconto a settimana, cinquantadue racconti all'anno per cinque anni. 
Dovete scrivere e mettere via da parte o bruciare un mucchio di materiale prima che siate a vostro agio in questo medium.
Potete benissimo cominciare adesso e fare tutto quello che occorre.
Perché io penso che alla fine la quantità si trasforma in quantità.
Come?
I miliardi di schizzi di Michelangelo, Leonardo da Vinci, Tintoretto, la quantità, li ha preparati per la qualità, singoli schizzi lungo la linea, singoli ritratti, singoli paesaggi di incredibile contenuto e bellezza.
Un grande chirurgo seziona e riseziona un migliaio, dieci migliaia di corpi, di tessuti, di organi, preparando così con la quantità il momento in cui la qualità conterà con una creatura viva sotto il suo coltello.
Un atleta può correre dieci migliaia di miglia per prepararsi per cento yarde.
La quantità dà esperienza. Solo dall'esperienza può venire la qualità.
Tutte le arti, grandi e piccole, sono l'eliminazione di un movimento inutile in favore di una dichiarazione concisa.
L'artista impara cosa togliere.
Il chirurgo sa come andare direttamente alla fonte del male, come evitare perdite di tempo e complicazioni.
L'atleta impara come conservare il potere e applicarlo ora qui, ora là, come utilizzare questo muscolo, piuttosto che quello.
Lo scrittore è diverso? Penso di no.
La sua più grande arte sarà spesso quello che egli non dice, quello che lascia fuori, la sua abilità nel dichiarare e spiegare semplicemente con la pura emozione, la direzione nella quale vuole andare.
L'artista deve lavorare così duramente, così a lungo, che un cervello si sviluppa e vive, per conto suo, nelle sue dita.
È così per il chirurgo la cui mano, alla fine, come la mano di Leonardo da Vinci, deve abbozzare disegni salvifici sulla carne dell'uomo.
È così per l'atleta il cui corpo alla fine è educato e diventa, per se stesso, un cervello.
Con il lavoro, con l'esperienza quantitativa, l'uomo libera se stesso da qualsiasi cosa che non sia il lavoro manuale.
L'artista non deve pensare alle ricompense critiche o in denaro che otterrà dipingendo quadri. Deve pensare alla bellezza nella sua pennellata, pronta a scorrere, se la lascerà andare.
Il chirurgo non deve pensare al suo onorario, ma alla vita che pulsa sotto le sue mani.
L'atleta deve ignorare la folla e lasciare che il suo corpo corra per lui.
Lo scrittore deve lasciare che le sue dita corrano per la storia dei suoi personaggi, che, essendo solo uomini pieni di strani sogni e ossessioni, sono felicissimi di correre.
Il lavoro quindi, il lavoro duro, prepara il campo per la prima sessione di rilassamento, quando si inizia ad avvicinarsi a quello che Orwell avrebbe potuto chiamare Not Think! Così, imparando sulla macchina da scrivere, viene un momento in cui le singole lettere a-s-d-f e j-k-l danno vita a un flusso di parole.
Così non dovremmo guardare al lavoro né guardare alle quarantacinque o cinquantadue storie scritte nel nostro primo anno come un fallimento. 
Il fallimento è la rinuncia.
Ma voi siete nel mezzo di un processo. Niente fallisce allora, tutto va.
Il lavoro è fatto. Se è buono imparate da lui.
Se non è buono, imparate anche di più.
Il lavoro è fatto e dentro di voi è una lezione da studiare.
Non c'è fallimento, a meno che uno non si fermi.
Non lavorare è smettere, mollare, diventare nervosi e quindi distruttivi rispetto al processo creativo.

Ray Bradbury
Lo zen nell'arte della scrittura
Libera il genio creativo che è in te
traduzione di Paolo Nori e Salim Catrina
DeriveApprodi 2000

Nessun commento: