Da più di mezzo secolo
Alvaro Mutis è il padre di una figura letteraria che lo accompagna prima nella
poesia, poi nella prosa: il suo nome è Maqroll, detto El Gaviero per la sua
professione giovanile di vedetta sul mare. Già nel primo disegno che l’autore traccia
di lui, porta i tratti distintivi di un carattere cui non verrà mai meno:
«un’ardente vocazione di felicità costantemente tradita», sacrificata a
missioni impossibili, votate al fallimento sicuro. E poi «la familiarità con
l’andar morendo come compito essenziale di ogni giorno», una certa ostinazione
all’«errar stordito, sempre contro corrente, sempre dannoso, sempre estraneo
alla mia vera vocazione»
(…)
Come ma ha scelto di
attribuire a Maqroll il ruolo del gabbiere, ossia del marinaio che sta di vedetta
sull’albero più alto della nave: è per dargli la possibilità di additare agli
altri il destino che li attende all’orizzonte?
Quando ho inventato il
personaggio avevo diciassette anni, e allora non avevo pensato a questa
immegine. Però è vera, me ne sono reso conto solo molto più tardi. Inoltre,
poco a poco la figura del gabbiere mi è sembrata precisarsi come una
rappresentazione del poeta, che vede più lontano e trasmette questa visione
agli altri.
(…)
Come descriverebbe la
morale d Maqroll?
È molto difficile, anche
se l’ho tentato nelle mie poesie. Direi che la sua morale sta nell’amore l’uomo
come un fratello, ma senza pensare di potersi riposare sulle sue spalle,
affidandogli la soluzione dei suoi problemi: perché nessuno può risolvere le
questioni degli altri. Inoltre Maqroll sa che nella vita non siamo destinati a
grandi cose, tutto va visto in proporzione. E prima o poi finiamo tutto a
Sant’Elena, come Napoleone.
La sua opera sembra
portare in sé molti elementi del «desengaño», un tema ricorrente nel dramma
barocco spagnolo.
Senz’altro. I miei libri
sono imparentati con la letteratura spagnola innanzi tutto per il tramite della
lingua, anche se la mia formazione è piuttosto francese. Gli autori che
preferisco sono Proust, Colette, Céline, scrivo sempre all’ombra di questi
grandi classici. E ho un’ammirazione sconfinata per Cervantes e per un
grandissimo romanziere pressoché dimenticato in Europa, Pérez Galdós, il
massimo protagonista del realismo spagnolo, grande quanto, se non più di
Balzac. Io sono americano, ma mi sento di cultura europea e del mio sentimento
di disinganno fa parte, tra l’altro, la convinzione che con la formazione delle
nazionalità abbiamo perso l’Europa.
Nonostante la sua
devozione per la poesia, lei ha scritto che essa è una «moneta inutile che paga
i peccati altrui con le false intenzioni di offrire agli uomini la speranza».
Cosa intendeva dire?
Ho per la poesia il
massimo rispetto e ho sempre detto che per me un poema è una forma di
preghiera. Ma, alla fine, bisogna pur rendersi conto che non ha il potere di
cambiare l’uomo. Ho visto persone che amano la poesia e la coltivano senza
trarne nessuna morale, guerriglieri che leggono versi sulle montagne e quello
stesso giorno riescono a uccidere.
(…)
Tra le immagini più
belle della sua narrativa c’è quella del pittore descritto nel Trittico di mare
e di terra il cui sogno è dipingere il vento «che non lascia traccia…quello che
non ha nome e che ci sfugge dalle mani senza sapere come». Dove si origina
questa visione?
È tutto vero sa? Uno dei
miei migliori amici, morto poco tempo, aveva un rapporto così intenso con la
pittura che arrivava a questi estremi. E mi diceva: «Alvaro, mi piacerebbe
dipingere il vento». Allora io gli rispondevo: «Sì, capisco, le onde, gli
alberi piegati…». «No - mi diceva lui -, voglio dipingere il vento, solo il
vento». Era una aspirazione alla totalità che si esplicitava così… naturalmente
non ci è mai riuscito.
Alvaro Mutis
La mia più profonda
fedeltà è per i vinti
Frammenti dall’intervista
nel volume di Francesca Borrelli
Biografi del possibile
Bollati Boringhieri 2005
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