(...) soprattutto ai tempi del libro su Keplero - il secondo della trilogia dedicata ai grandi scienziati - la mia scrittura governava l'intreccio in modo troppo controllato; tanto che mi ricordo ancora molte della parole che avevo usato allora. Ma già nell'Intoccabile ho cercato di confidare in una narrazione più istintuale: è un esperimento e come tale non so se sia del tutto riuscito. Desideravo comporre una sorta di manifesto di arte pubblica, vedevo questo romanzo come una specie di murale, dove i dettagli si evidenziano man mano che ci si avvicina. Inoltre, da ragazzo avevo una grande ammirazione per alcuni scrittori inglesi come Graham Greene, Evelyn Waugh, P. G. Wodehouse, Henry Green; così con questo libro volevo allo stesso tempo tentare una loro parodia e rendere omaggio alla loro scrittura.
Torniamo ai libri che ha dedicato a Copernico e a Keplero: non è tanto la passione per l'astronomia ad averglieli dettati, quanto l'affinità con l'esigenza di ordine che muove le speculazioni scientifiche. Tutto questo sembra avere a che fare con quella sorta di furore organizzativo che il poeta americano Wallace Stevens chiamava "the rage for order". Ma, qui, il fatto di inseguire armonie prestabilite pare abbia per lei una valenza soprattutto estetica. È così?
Assolutamente sì. Sono d'accordo con Frank Kermod quando teneva a sottolineare come l'opera d'arte trovi in se stessa una sua compiutezza, perché è qualcosa di circolare, di conchiuso, di finito: ha un inizio, una parte centrale, una fine. Le nostre vite, invece, sono aperte, nel senso che non ricordiamo la nostra nascita, né possiamo avere piena consapevolezza della morte. Quel che ci resta è una parte centrale, connotata, tra l'altro, da una profonda incoerenza. Dunque, ciò che mi ha affascinato in persone come Keplero o Copernico è proprio l'aver cercato di imporre il loro senso dell'ordine su questo complesso disordine che ci circonda.
Per la verità, anche l'arte contempla il non finito: da Michelangelo a Proust a Gadda a Schubert, l'incompiuto è una potenzialità più volte realizzata, non le sembra?
Certo, ma io non mi riferisco all'aspetto superficiale con il quale si presenta l'opera d'arte, alla sua rifinitura; bensì al fatto che essa nasce dal nulla e anche quando non viene portata a compimento esibisce, comunque una sua oggettività che non è paragonabile a null'altro di quanto scorre nella nostra vita.
La pittura è nei suoi romanzi una presenza insistente, come mai?
La narrativa è l'arte dell'inganno. Chiunque si dedichi a un lavoro simile dovrebbe conoscere anche altre forme di espressività artistica.
Nelle pagine dei suoi romanzi, pur così diversi nella tessitura della trama, sono molte le ricorrenze che si potrebbero citare. Sul finire del suo memoriale, Victo Maskell - ovvero "l'intoccabile" - riflette: "Qui, alla scrivania, alla luce della mia lampada, mi sento come Odisseo nell'Ade, premuto da ombre che supplicano un po' di calore, un po' del sangue della mia vita, così che possano vivere ancora, anche se per poco" (...)
Sì, (...) un nesso c'è e riguarda la creatività. Come sosteneva Beckett, tutti i protagonisti di una stessa storia non fanno altro che prestare voci diverse a ciò che l'artista vuole esprimere. Maskell si dibatte tra le figure nebulose della sua memoria e cerca di restituire loro un corpo. (...) A me pare che quel che rende possibile la nostra relazione con gli altri sia l'immaginazione, la proiezione delle nostre fantasie su chi ci circonda.
(...)
John Banville
Voglio che i miei romanzi abbiano sangue, muscoli, tendini, ossa
Frammenti dall’intervista - del novembre 1998 - a proposito del suo romanzo L'intoccabile nel volume di Francesca Borrelli
Biografi del possibile
Bollati Boringhieri 2005
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