domenica 7 aprile 2013

La scrittura è un flusso che procede dall'esterno verso l'interno


Il paese delle vocali La foto di Orta sono due romanzi apparentemente molto diversi l’uno dall’altro, ma in cui si possono trovare molti elementi di raccordo soprattutto nel grande valore che ha l’uso della parola. Ne Il paese delle vocali il dialetto diventa un’esperienza centrale ed è attivo all’interno della narrazione, cioè è l’elemento essenziale dell’affabulazione, perché è l’unico elemento grazie al quale possono comunicare e nominare le cose coloro che vivono in condizioni veramente disagiate dato che le uniche parole che conoscono sono queste. D’altronde è anche un dialetto non mimetico ma spesso arricchito da intarsi che provengono dall’immaginario. Che valore ha per lei questo uso diffuso del dialetto? Per quanto riguarda La foto di Orta, a mio parere, costituisce un passaggio preziosissimo per comprendere l’universo affascinante della sua scrittura. Considerando che temi centrali sono il passato e la memoria, che ruolo hanno per lei l’immaginazione e l’invenzione?
Io sono cresciuta in un ambiente nel quale si parlava solo in dialetto, un dialetto contadino, molto arcaico, pieno di suoni cupi. Una delle prime cose che ho colto è che il dialetto è una lingua che non si chiude. Il dialetto per me è quella lingua che non ho mai potuto parlare liberamente da piccola perché i grandi sgridavano noi bambini se parlavamo in dialetto; per me è stato quindi una scoperta nel momento in cui mi sono posta il problema di quale lingua usare. Certo io sono italiana, ma avevo anche altre esperienze linguistiche, il castellano, ad esempio, che parlo quando sono in Argentina. E poi c’è un’altra lingua, la lingua materna, lingua ormai frequentata raramente, lingua legata alla memoria, lingua carnosa e vicina ad esperienze concrete. In Di corno o d’oro ho mescolato queste mie tre lingue e nei miei libri successivi ho sperimentato le altre me-scolanze possibili, cercando la parola giusta per la cosa che in quel momento mi premeva dire. Il dialetto per me ha senso solo per questo motivo, dato che è la lingua della mia appartenenza e a cui io sono legata affettivamente; è una delle tante lingue possibili a cui io chiedo quello che cerco quando parlo o scrivo. Per quanto riguarda l’immaginazione, non a caso è stato citato un brano che parla di una fotografia. Io credo che una delle doti dello scrittore sia la grande capacità di osservazione, che è ciò che ti permette di immedesimarti nell’altro, in un altro personaggio. Solo osservando attentamente ogni persona, cogliendo piccoli dettagli, sarei capace di farci su almeno sei o sette film, lasciandomi coinvolgere dall’esterno e dalla gente che mi circonda. A mio parere la scrittura è un flusso che procede non dall’interno verso l’esterno ma viceversa.

Laura Pariani 
frammento di un intervista collettiva agli studenti di un laboratorio di scrittura condotti dalla professoressa Domenica Perrone (vedi il sito Lo specchio di carta)

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