martedì 23 aprile 2013

La pioggia di Roma

A Roma piove diversamente. Non è più questione di fronti di passaggio, che si scaricano svanendo all'alba senza la sicurezza di un ritorno. A Roma, è come se la pioggia avesse i suoi umori. A volte si sente un rombo di tuono lontano, quasi impercettibile - un rombo che si ripercuote in circolo di colle in colle - e quando tutto sembra finito il cielo si squarcia come per un cataclisma e stordisce la città con un diluvio di proporzioni bibliche. I temporali che Roma sa adunare dietro le sue cupole non saprei dire se hanno eguali altrove. Altre volte c'è una pioggia gentile, appena un sibilo sui tetti. E poi i contrasti: nuvole nere, sinistre, con bordi splendenti, gonfie come vele contro le cavità celesti. Niente è già deciso, a Roma, quando i raggi del sole passano tra una nuvola e l'altra e inondano le strade. L'incendio del sole che acceca sulle strade bagnate va e viene, così come va e viene la pioggia, per intere giornate. No, a Roma non è questione di fronti di passaggio. La pioggia resta, si attarda, si abbandona, rinnovando la propria energia come se la città stessa generasse i propri rovesci. E tuttavia sa che la pioggia è l'elemento proprio del pensiero. Certo che ho un modo mio, intransitivo, di concepire cosa significa pensare - lasciare che il pensiero affondi nel pensiero della propria origine. C'è un tipo di pensiero che non pensa questo o quello, ma la fonte della relazione tra questo e quello. La pioggia per qualche motivo, mi rammenta questa fonte. Anzi, talvolta mi appare come la fonte stessa. Insomma, quando il pensiero diventa pensoso diventa una forma d'ascolto, e quando ascolta con l'attenzione necessaria, ciò che sente è il suono dell'acqua che cade, o qualcosa che suona come il suono dell'acqua che cade.
Roma è tra le città più pensose, se non altro per aver memorizzato la pioggia nelle sue cento fontane.

Robert Pogue Harrison
Roma, la pioggia...
A che cosa serve la letteratura?
traduzione di Stefano Velotti
Garzanti 1995

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