mercoledì 25 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/535. Ogni futuro è un seme portato dal vento e non sa ancora se sarà grano o papavero, o memoria



La luce del mattino non indica solo l’inizio del nuovo giorno, indica prima di tutto la fine della notte e gli incerti confini tra le ombre che vivono in solitudine, indipendenti e che il buio confonde con se stesso, e il chiarore dove le ombre sono costrette a vivere sempre attaccate ai corpi e alle cose che offrono loro una forma, una possibilità di esistenza.

 

Questa mattina mi sono svegliata molto presto, molto prima dell’ora in cui il traffico inizia a varcare le porte del silenzio, proprio quando la luce sfilaccia la notte. Ho aspettato poi, che ci fosse la luce piena e sono uscita a innaffiare le piante in terrazza, sul balcone e sulla ringhiera. È un piccolo rito che allieta l’inizio delle attività e mi piace respirare l’odore della terra bagnata e l’aroma del basilico che si spande intorno come se fossimo nell’orto. Ma il basilico non sa di crescere in un vaso, si allunga verso il sole e spinge i primi fiorellini bianchi a preparare la strada ai semi.

Tutto il presente è un incessante preparazione del futuro e questo accade anche se non ci pensiamo, come il grano seminato non pensa alla stagione fredda che dovrà attraversare prima di smettere di essere seme e di vedere di nuovo la luce.

Se nella natura la memoria vive rinchiusa nel presente, noi esseri umani passiamo molto del nostro tempo a rievocare il passato, cercando i segni di ciò che è stato memorabile o che vorremmo che lo fosse. Ma la memoria funziona con regole a noi sconosciute e quel che abbiamo dimenticato o rimosso è sempre molto di più di ciò che ricordiamo. Ma se è vero che senza memoria smettiamo di essere chi siamo, un eccesso di memoria ci costringe a rivivere la nostra vita come se fossimo dei Sisifo condannati a spingere un masso che continuerà a rotolare all’indietro.

La vita procede sul confine sottile e labile tra memoria e oblio. Ed è l’oblio a occupare lo spazio infinito di cui la memoria è solo un ritaglio, una parte infinitesimale che assomiglia molto alla parola che scardina il silenzio, lo scontorna e lo spinge più in là, oltre quel territorio che solo alla parola pertiene.

 

 

In che immagini e in che parole

 

Mi aspettano le parole alla

fine di ogni notte, mi aspettano

sui confini dove le immagini si

fermano e che non possono

varcare. Ma io so che le parole

sono figlie non solo del

silenzio, ma di tutte le immagini

che stanno dentro e fuori dalla

mia testa. Come la memoria

cerca il perdono, così ogni

storia sceglie che immagini

vuole e che parole. Mentre

tutto il resto galleggia nel

silenzio e nell’oblio. Scrivere

è sempre una lotta contro

l’inevitabile che ci circonda.

 

 

 

Queste riflessioni mi hanno accompagnato per la solita passeggiata in giro per il mio quartiere, che nella mente ho ricominciato a chiamare la Maddalena, il suo nome antico che la storia ha spazzato via. Man mano che il sole sorge e raggiunge lo zenit, mi preparo ad accogliere le parole e poi ne nasce una poesia e poi questa Cronaca 535 di mercoledì 25 agosto del secondo anno senza Carnevale dove ora potrò leggere senza che le mie stesse parole mi saltino intorno come cavallette nel prato o che svolazzino come api intorno ai cespugli di lavanda. È ancora estate, tutto intorno a me lo sussurra e mi allieta. 

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