lunedì 23 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/533. Non ci sono geometrie cartesiane nel mio cuore

 


 

A volte si addormentava davanti allo specchio e al risveglio stentava a riconoscere il volto riflesso. A volte passeggiava per le vie della sua città come se fosse stata una turista, le piaceva fingere che i portici fossero quelli di Bologna o di Torino e la cattedrale quella di Parigi. Sostituiva ogni luogo con un altro luogo conosciuto e alla fine non riusciva più a ricordare dove fosse davvero arrivata. Camminava con passo di lupa e i suoi occhi erano ardenti, la lingua mescolava le parole e chi si fermava a parlare con lei, attratto dal colore fiammeggiante dei capelli, quasi sempre vi rinunciava, perché era impossibile capire quella lingua che era fatta da frammenti in lingue antiche e dimenticate, non solo nelle lingue che lei parlava correntemente. Camminava talmente tanto la ragazza, che rimase intrappolata nei suoi stessi passi e il labirinto che aveva tracciato era ben più complesso da seguire che quello del Minotauro. Ma è proprio lei a darci il filo da seguire, come se fosse Arianna e noi Teseo”.

 

Sono arrivata alla fontana scura, in fondo al giardino che non riconosco, ma solo perché non ci sono mai stata. Mi siedo sul bordo a guardare i passeri che hanno smarrito la strada e ricomincio a scrivere nel taccuino, deve ritrovare il bandolo della storia vera e inventata di Milano che tanto mi appassiona. Sento l’amore della città invadere ogni casa, ogni palazzo, su fino alla cima degli alberi e alle colline invisibili che la città avrebbe voluto avere intorno. Ma intorno c’è solo la pianura su tre lati e verso nord le montagne non sono poi così vicine come sembrano.

Ci faremo guidare dalla donna in fiamme? Torneremo all’hotel Fantasia dove ci eravamo salutato l’ultima volta? Non ci sono geometrie cartesiane nei nostri cuori, e l’amore che abbiamo perduto ha lasciato qui la sua ombra rossa, proprio vicino alla strada che porta alla stazione, dove porteremo ancora i nostri passi, dove torneremo ancora una volta per perdere il treno che ti porterà via da me.

Ora che non ci sono più né il treno, né la stazione, né i nostri baci scolpiti nelle pietre dei gradini. Ora che sei lontano, in quello spazio remoto che è il nostro passato, posso ricominciare a respirare e rallegrarmi per tutto questo vento e non chiedermi dove tu sia finito e se ancora ti ricordi di me. Ora la nostra storia è solo una trama, una narrazione senza autore, un mucchio di foglie che il vento ha raggruppato sul selciato e niente altro da dire, niente di nuovo da fare.

Continuo a camminare e vorrei che fosse il vento a raccogliere anche me. Ma qui non ci sono corti clementi e giudici corrotti. Il tempo ha già emesso la sua sentenza per la quale ogni appello è impossibile. Come una rabdomante cerco le tracce del fiume sepolto sotto la strada, e lo sento gorgogliare e arrabbiarsi e gonfiarsi, perché non può più uscire, perché non vedrà più il cielo. Lo guarderò io per conto suo e lo guarderò anche per te che non hai più occhi e non hai ricordi da lanciarmi. Resta solo la metà di quello che è stato, la metà di quel che spetta a ciascuno di noi. Inutile sarà l’attesa, inutile la quiete. Perché solo nel tumulto si aprono i sentieri del dubbio. Niente ritornerà com’era prima che riconoscessi i tuoi occhi, niente sarà lo stesso, ma solo una ripetizione di ciò che è stato e di ciò che sarà. Avrò il tuo sorriso, ma non il tuo sguardo, questo è l’unico dono del destino, l’unica cosa che ho conservato di te.

 

Mi capita, certi giorni, di seguire il filo di una storia e di lasciarmi trascinare senza sapere dove mi porterà e oggi è stato proprio un giorno di questi, lunedì 23 agosto del secondo anno senza Carnevale che porta questa Cronaca 533 sul confine della sera, dove le storie di oggi sono già mischiate con quelle di domani.

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