lunedì 9 agosto 2021

Cronache dagli anni senza Carnevale/519. Tutto il campo del tempo era tinto di rosso fino alla linea dell’orizzonte

 



 

È freddo oggi, non ho mai avuto freddo qui in città nel mese di agosto. Non voglio certo lamentarmi ma agosto era il mese del solleone, dei campi bruciati dal sole e non solo dal fuoco dell’uomo. E oggi fa freddo, il mondo è rovesciato, stiamo per cadere tutti quanti a testa in giù.

S. sentì la donna che pronunciava queste parole mentre camminava avanti e indietro per il campo, doveva essere una povera pazza, ma non aveva voglia di uscire a guardare chi fosse. Stava così bene nel suo cantuccio, era tiepido tutto intorno e c’era acqua a sufficienza, non era il suo tempo, non ancora. Stava così bene che dimenticò la donna e tutto quel che accadeva sopra. Poi arrivarono le piogge, tranquille e l’acqua scese in profondità nelle rogge sino a raggiungere quegli strati di terra argillosa che la trattenevano e garantivano l’irrigazione di quel pezzo di mondo.

Poi arrivarono le macchine e S. venne catapultato anche a lui a testa in giù e si ricordò le parole di quella donna. Poi fu di nuovo sopra e poi sotto e poi sopra, ma troppo in alto ed ebbe paura quando scese la notte e le stelle apparvero nel buio e avevano la sua stessa forma rotonda. Si chiese se le stelle fossero semi di luce o semi di cielo, ma faceva freddo e si addormentò guardandole.

Poi fu di nuovo sotto, sempre più sotto e vide la ragazza che era ritornata, era scontenta come ogni autunno, aveva messo il broncio e Ade avrebbe dovuto penare per farle tornare il sorriso. Di solito bastavano un po’ di scherzi e poi i melograni maturi di cui era golosa. Sentì che di nuovo la terra veniva smossa intorno e poi ci fu meno spazio e c’erano altri semi molto più grandi e chiari di quanto non lo fosse lui. Almeno non si sarebbe annoiato con loro, così sperava. Tra la ragazza che conosceva tutte le stagioni e gli occhi della terra che erano i semi di grano, sarebbe stato bello trascorrere con loro la stagione invernale.

Poi fu neve e freddo ancora più acuto, poi fu notte sempre prima e il ghiaccio che stringeva tutti nella sua morsa. Tornò anche la pazza che parlava da sola a lamentarsi dell’inverno troppo freddo e che lei non era certo cresciuta al Polo Nord per meritarsi tutto quel gelo. Intorno ai campi, i paesi si accendevano di luci anche sugli alberi, forse le stelle erano cadute?

Ma passò anche il tempo delle luci e giorni e notti di buio e freddo erano l’unica storia che conoscessero. Ciascuno aveva già raccontato la propria storia e le storie che aveva ascoltato lassù.

Poi non ebbero più voglia di raccontare e se ne rimasero in silenzio e dormirono quasi tutto il tempo. E il tempo passò, sino a quando il disgelo non strappò anche le acque al loro sonno millenario e tutti lì sotto sentivano una spinta dal basso e S. si chiedeva se non fosse la ragazza a spingerlo, e poi anche qualcosa che li tirava fuori. Erano filamenti di luce che arrivavano e li solleticavano. I primi a spingersi fuori furono gli steli verdi del grano, erano splendidi anche nei campi di periferia della grande città. S. era curioso di vedere cosa stesse accadendo lì sopra.

 

Poi fu anche il suo tempo e da piccolo, nero e tondo si trovò a essere slanciato, lungo e con foglie e boccioli che si sarebbero aperti. Allora era questa la fioritura, S. aveva sentito gli altri che ne parlavano e ne aveva il ricordo anche se era fiorito per la prima volta quel giorno. Poi capì che era il ricordo del fiore rosso da cui era caduto, non il suo, e c’erano anche i ricordi di altri fiori venuti prima, talmente prima che tutto il campo del tempo era tinto di rosso fino alla linea dell’orizzonte. Le spighe del grano erano sempre più dorate ed erano nati anche i fiori blu mescolati con i rossi papaveri. Come si stava bene sotto quel sole, com’era bello non essere più un seme e basta. Nelle capsule dei suoi fiori altri semi si stavano preparando.

Poi tornò la donna che parlava da sola e si chinò per raccoglierlo perché voleva metterlo in un libro, disse. Poi un volo di rondini la distrasse e andò oltre e fu un altro il papavero che rapì per rinchiuderlo in quella cosa spessa che teneva in mano. P. allungò il collo sentì che nel libro c’erano le voci di alberi che erano stati sotto quello stesso sole. Gli sarebbe piaciuto andare con loro, ma non quel giorno.

Poi le capsule esplosero e i semi nuovi caddero nella terra e grandi macchine passarono a mietere il grano e il papavero capì perché la donna aveva detto che la morte era la grande mietitrice. Cadde con le sue spighe intorno e gli altri papaveri e i fiordalisi, ma fece in tempo a vedere ancora le stelle prima di non essere più lui, solo, chiuso in quella forma. Ma solo non lo sarebbe mai stato. Era sparpagliato nei semi che dormivano poco sotto il primo strato di terra e li rassicurò.

Poi sarebbero accadute cose meravigliose, avrebbero conosciuto la ragazza e visto il mondo di sotto.

Poi…

Oggi è lunedì 9 agosto del secondo anno senza Carnevale, una giornata insolitamente fresca che ho comunque trascorso nell’ombra del mio giardino e leggendo ho trovato un papavero che avevo raccolto sul crinale di una collina tanti anni fa, in un paesello che si chiama Golferenzo. Questa Cronaca è la 519 e rosseggia come un campo di papaveri, infinito, sotto l’infinita azzurrità del cielo.

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