venerdì 28 febbraio 2014

La mia ispirazione si è nutrita anche di persone che non ho mai conosciuto

Una fotografia, un racconto. Per le otto storie che compongono Le volpi vengono di notte, lo spunto da cui parte lo scrittore olandese Cees Nooteboom è sempre un' immagine fotografica, maneggiata come fosse una madeleine. Non importa che le persone ritratte siano vicine all'autore o sconosciute: osservare l'istantanea e cercare di coglierne il significato vuol dire evocare la loro vita, decodificarne i segreti. Quello di chi guarda e racconta è però un atto secondario, una riflessione ad alta voce, e queste narrazioni somigliano molto a lettere d'addio. I personaggi sono per lo più fuoriusciti dal nord verso il sud Europa, e Nooteboom ne delinea i contorni a partire da simboli e gesti quotidiani, immergendosi nel recinto del loro passato e nel disastro delle loro vite, accompagnandoli pian piano verso la morte e talvolta oltre, perché, dice, 
«la narrativa è un mezzo potente, può riportare in vita anche i morti». 

Il punto di partenza è sempre la visualizzazione di una vecchia foto. Come mai? 
«La fotografia, specialmente quando il soggetto è un essere umano, esprime situazioni essenziali. Se si conoscono, le persone ritratte possono servire come una specie di promemoria. Se sono degli estranei, possono diventare l'innesco della finzione narrativa. La mia ispirazione si è nutrita anche di persone che non ho mai conosciuto».


frammenti dell'intervista di Sebastiano Triulzi a Cees Nooteboom
Repubblica 27 marzo 2010 

Nessun commento: