Una fotografia, un racconto. Per le otto storie che compongono Le volpi
vengono di notte, lo spunto da cui parte lo scrittore olandese Cees Nooteboom è
sempre un' immagine fotografica, maneggiata come fosse una madeleine. Non
importa che le persone ritratte siano vicine all'autore o sconosciute:
osservare l'istantanea e cercare di coglierne il significato vuol dire evocare
la loro vita, decodificarne i segreti. Quello di chi guarda e racconta è però
un atto secondario, una riflessione ad alta voce, e queste narrazioni
somigliano molto a lettere d'addio. I personaggi sono per lo più fuoriusciti
dal nord verso il sud Europa, e Nooteboom ne delinea i contorni a partire da
simboli e gesti quotidiani, immergendosi nel recinto del loro passato e nel
disastro delle loro vite, accompagnandoli pian piano verso la morte e talvolta
oltre, perché, dice,
«la narrativa è un mezzo potente, può riportare in vita
anche i morti».
Il punto di partenza è sempre la visualizzazione di una vecchia
foto. Come mai?
«La fotografia, specialmente quando il soggetto è un essere
umano, esprime situazioni essenziali. Se si conoscono, le persone ritratte
possono servire come una specie di promemoria. Se sono degli estranei, possono
diventare l'innesco della finzione narrativa. La mia ispirazione si è nutrita
anche di persone che non ho mai conosciuto».
frammenti dell'intervista di Sebastiano Triulzi a Cees Nooteboom
Repubblica 27 marzo 2010
2 settimane fa
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