Parigi 1928 s'apre con il suo arrivo al porto di Le Havre, un
approdo a lungo agognato, in cui le immagini di sogno della città, portate
dentro di sé e veicolate dalle suggestioni letterarie, corrispondono pienamente
alla realtà che si traduce dinanzi ai suoi occhi. Nelle settimane seguenti è
June, celata nel romanzo sotto il nome di Mona e vera nemesi del suo lavoro di
scrittore, che gli fa da guida nelle dimore e nei caffè degli artisti,
frequentati tempo addietro quando era fuggita con l' amica e amante Jean
Kronski. Moglie e marito attraversano la città a piedi, passano da una terrasse
all'altra, da una conversazione all'altra, nel tentativo di intercettare gli
immortali, scrittori pittori fotografi che il protagonista sciorina come un
catalogo di navi, ma incontrano solo comprimari o americani espatriati il cui
compito principale è di spronarlo a trovare la strada della scrittura:
«Il mio
problema è scrivere, non su cosa scrivere», confida a Carl, cioè Alfred Perlès,
che lo aiutò nel secondo, più duro ma prolifico passaggio parigino, quello di
Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno, iniziato nel febbraio del '30. La
forma, dunque, e non il contenuto,a lui mancava, e Miller, ansioso di
accreditarsi ai posteri in quel 1961 in cui per la prima volta i suoi romanzi
vennero pubblicati in America, sosteneva di averla trovata ascoltando suonare
uno zingaro a Budapest:
«L'importante è suonare, che tu lo sappia fare o meno
(...).
La lingua, il linguaggio, è soltanto un'asse per lavare i panni.
Scrivere è tutt'altra cosa.
È come una cadenza perpetua sul bordo di un
precipizio».
frammento della recensione di Sebastiano Triulzi al libro
Parigi 1928 di Henri Miller
Repubblica 20 giugno 2010
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