giovedì 27 febbraio 2014

Scrivere è una cadenza perpetua sul bordo di un precipizio

Parigi 1928 s'apre con il suo arrivo al porto di Le Havre, un approdo a lungo agognato, in cui le immagini di sogno della città, portate dentro di sé e veicolate dalle suggestioni letterarie, corrispondono pienamente alla realtà che si traduce dinanzi ai suoi occhi. Nelle settimane seguenti è June, celata nel romanzo sotto il nome di Mona e vera nemesi del suo lavoro di scrittore, che gli fa da guida nelle dimore e nei caffè degli artisti, frequentati tempo addietro quando era fuggita con l' amica e amante Jean Kronski. Moglie e marito attraversano la città a piedi, passano da una terrasse all'altra, da una conversazione all'altra, nel tentativo di intercettare gli immortali, scrittori pittori fotografi che il protagonista sciorina come un catalogo di navi, ma incontrano solo comprimari o americani espatriati il cui compito principale è di spronarlo a trovare la strada della scrittura: 
«Il mio problema è scrivere, non su cosa scrivere», confida a Carl, cioè Alfred Perlès, che lo aiutò nel secondo, più duro ma prolifico passaggio parigino, quello di Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno, iniziato nel febbraio del '30. La forma, dunque, e non il contenuto,a lui mancava, e Miller, ansioso di accreditarsi ai posteri in quel 1961 in cui per la prima volta i suoi romanzi vennero pubblicati in America, sosteneva di averla trovata ascoltando suonare uno zingaro a Budapest: 
«L'importante è suonare, che tu lo sappia fare o meno (...). 
La lingua, il linguaggio, è soltanto un'asse per lavare i panni. 
Scrivere è tutt'altra cosa. 
È come una cadenza perpetua sul bordo di un precipizio».

frammento della recensione di Sebastiano Triulzi al libro 
Parigi 1928 di Henri Miller
Repubblica 20 giugno 2010

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