E viene il giorno in cui la collezione di lettere di rifiuto è un collage di rivincita. Biglietto da visita inedito per l'incontro con un destino. Quello che ti stringe la penna, ti guarda dritto tra le righe e ti presenta a te stesso come Scrittore.
E' come un improvviso cambio di stagione. Le pagine scritte aprono il cassetto, indossano una copertina e si stendono alla luce del sole sul litorale ambito dei Pubblicati. Ma a far soffiare il vento del successo -assicurano i meteorologi del "riconoscimento duraturo"- non bastano talento e qualità. Occorre una misteriosa reazione chimica. Un Big Bang letterario che è al tempo stesso inizio e progettazione. Occorre un "autore di autori".
Per Jean Echenoz, scrittore francese che confessa di non amare la parola scrittore ma di usarla in mancanza di efficaci sinonimi, tutto ebbe inizio con una telefonata inattesa in un giorno di neve, a Parigi, il 9 gennaio 1979. Il giorno successivo al disincantato invio del suo manoscritto -ormai rifiutato da tutte le case editrici contattate- alle Editions de Minuit, "quintessenza della virtù letteraria" diretta e orchestrata dal leggendario Jèrome Lindon. L'editore che camminava veloce e irraggiungibile per le vie di Parigi e che, se riceveva un manoscritto, telefonava già l'indomani o la sera stessa.
"Il mio editore", sottolinea con affetto Echenoz nel breve, incalzante omaggio pubblicato in Francia nel 2001, dopo la morte di Lindon. L'"uomo dai due sorrisi" -di cordialità o di disapprovazione- che deliziosamente disdegnava simpatia e sentimentalismi, ma convertiva entusiasmo e attenzione -interminabili e esilaranti arringhe sull'uso della virgola, "quasi fosse in gioco il futuro del mondo e della letteratura"- nella creazione di un nuovo scrittore.
incipit della recensione di Silvia Giuberti al libro di
Jean Echenoz
Il mio editore
Il Sole24ore 19/6/2008
2 settimane fa
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