lunedì 10 febbraio 2014

Chi non ha preso qualcosa da Chatwin?

L'antica passione per Chatwin riscaldata dalla pubblicazione dell'epistolario.


Il primo tentativo di rendere sistematiche le sue idee Chatwin lo aveva compiuto quando era ancora giovanissimo e il titolo di quel progetto abbandonato, L'alternativa nomade, è stato scelto per l'edizione italiana dell'epistolario curato da Nicholas Shakespeare ed Elizabeth Chatwin, biografo ufficiale e moglie del grande scrittore inglese. È un po' un controsenso intitolare così un libro di Chatwin, per un motivo che si desume dalle stesse lettere risalenti ai primi anni Settanta. È proprio perché Chatwin non scrisse L'alternativa nomade che iniziò la sua avventura di artista supremo della parola, capace di invenzioni narrative che hanno suscitato una rete fittissima di risonanze nella prosa narrativa del nostro tempo.
Chi non ha preso qualcosa da Chatwin? Dopo un quarto di secolo dalla morte, ne riconosciamo puntualmente le tracce in decine di scrittori, alcuni degni del modello come W. G. Sebald o William Vollmann, e la maggior parte costretta a imitare senza mai trovare il segreto, la chiave d'accesso a quella magia. Sulle origini dell'impresa di Chatwin, l'epistolario ci apre degli scorci preziosi. L'itinerario che lo conduce nel 1977 a pubblicare il primo capolavoro, In Patagonia, è tutt'altro che rettilineo. Fin troppo ricchi di viaggi, di incontri, di letture rivelatrici gli anni dell'apprendistato sembrano protrarsi oltre il lecito. Varcata la linea d'ombra dei 35 anni, uno stato di perenne inquietudine può trasformarsi da elemento propulsivo in fattore di paralisi.
frammenti della recensione che Emanuele Trevi ha pubblicato sul
Sole24ore del 13/12/13

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